Tre progetti multimediali per indagare la relazione tra natura e cultura, mettendo in primo piano il ruolo dei media, considerati non solo come strumenti di rappresentazione ma anche come elementi in grado di partecipare all’ecologia globale, modellando e influenzando il rapporto degli individui e della collettività con l’ambiente. Da questa prospettiva, che si ispira alle teorie formulate da Jussi Parikka, studioso finlandese di cultura digitale, prende le mosse Medianature, mostra realizzata dagli studenti del primo e del secondo anno del Biennio di Multimedia Arts and Design di RUFA Rome University of Fine Arts. Visitabile dal 16 al 30 settembre 2024, negli spazi di AlbumArte, centro di ricerca e produzione artistica indipendente di Roma, l’esposizione è appartenente all’Hub Plena Education ed è curata da Re:humanism.
Dunque, reinterpretando questo tema, gli studenti hanno realizzato tre progetti che mirano a ribaltare le certezze dei visitatori, attraverso il dialogo con gli spazi espositivi
Il Padiglione Invisibile, creato dal collettivo Blivet, propone una riflessione pungente sulle dinamiche espositive, prendendo come spunto una delle manifestazioni più “in vista” nel campo dell’arte, la Biennale di Venezia, sovvertendone il concetto di visibilità . In un mondo iperconnesso, chi o cosa è davvero esposto? Il percorso, allestito negli spazi di AlbumArte, svela lentamente le sue logiche interne, guidando il pubblico verso un atto di ribellione contro le norme prestabilite.
Cyborg Mama Nature, ideata da Silvia Baldo, Giuseppe Di Capua ed Elisa Catalano, è una potente installazione interattiva che fonde tecnologia e natura in un dialogo interspecie. La scultura totemica, che richiama il monolite di Kubrick in 2001: Odissea nello spazio, si anima attraverso il suono, reagendo ai movimenti dei visitatori e proponendo una visione in cui il dominio tecnologico cede il passo a una coesistenza armoniosa tra organico e inorganico. Non più simbolo di sopraffazione, ma di inclusione e coabitazione.
L’opera Ecosistema Queer di Raffaele Esposito e Annarita Debellis, attraverso installazioni cinetiche che evocano una tempesta primordiale, sfida i confini dell’identità dello spettatore. La corteccia metallica di un albero, metafora della memoria e del ciclo vitale, non è una barriera ma un filtro tra interno ed esterno, simbolo di trasformazione. In un ambiente che appare freddo e artificiale, la tecnologia si trasforma in una pelle vivente, suggerendo che il nostro ecosistema può diventare un luogo di rinascita, dove le connessioni tra umano e tecnologico creano nuove forme di cura e consapevolezza.
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