La mostra “Roman Signer. Film and installations” in corso al MAN di Nuoro fino al 3 luglio conferma l’ottima programmazione del museo sardo, sempre più attore centrale del panorama artistico nazionale e internazionale. Prima personale dell’artista elvetico in un museo italiano, la mostra a cura di Lorenzo Giusti e Li Zhenhua, ha l’assoluto merito di presentare l’intera produzione di filmati in Super 8 di Signer – un nucleo di oltre duecento lavori che vanno dal 1975 al 1989, digitalizzati in questa occasione, in un’unica installazione a cento canali dall’intenso impatto visivo ed estetico. L’opera è allestita in una sala al cui interno singole proiezioni di piccole e medie dimensioni si susseguono, saturando lo spazio espositivo e sfuggendo alla creazione di un percorso narrativo. Una visione d’insieme formata da parti a sé stanti che acquistano dignità espressiva man mano che lo spettatore si inoltra nello spazio espositivo. L’installazione, creata al Chronos Center di Shanghai (con la partnership tecnica di WTI International Co. Limited, il supporto di Pro Helvetia e, in questa occasione, con il contributo di Regione Sardegna, Provincia di Nuoro e Fondazione di Sardegna), è stata arricchita e ampliata per la mostra nuorese, e si compone di video girati dall’artista sia in interno, nel proprio laboratorio di San Gallo, che in spazi esterni, specialmente a Weissbad, in Svizzera.
L’opera di Roman Signer (Appenzell, 1938) ha preso avvio nella seconda metà degli anni Sessanta, attraverso una ricerca capace di coniugare alle forme della scultura l’idea di processualità e mutamento, spazialità e temporalità, in una modalità che si distingue dalle coeve sperimentazioni della “Process Art”. Sia nelle sculture che nei video infatti, risulta essere centrale l’interesse di Signer per l’esperienza, evidenziata mediante l’uso del proprio corpo come strumento “esploratore” di avvenimenti possibili: un approccio empirico all’arte non volto alla spiegazione di processi fisici, quanto a sondare soggettivamente il caso e le evenienze legate ad elementi naturali, all’interazione tra forze dissimili, all’impiego alternativo di oggetti di uso comune, alla realtà che ci circonda intesa come territorio sperimentale di cui l’artista va costantemente a sondare il potenziale vitalistico e trasformativo.
Negli oggetti che Signer utilizza per le sue sculture è possibile ravvisare un carattere elementare e quotidiano, essi sono per lo più casse, tavoli, sedie, biciclette, palloni, aste di legno, ventilatori. Tuttavia Signer li inserisce in processi e eventi complessi (assemblaggi, detonazioni, cadute, strappi, distruzioni) che ne alterano la funzione abituale: grazie all’impiego di elementi naturali (vento o acqua), di forze fisiche (gravità e pressione) o esplosioni ottenute con polvere da sparo, l’artista evidenzia il senso di estraneità e assurdità insito nel quotidiano, attraverso un approccio ironico e dissacratorio, ma capace anche di incursioni poetiche.
Specificatamente realizzati per la mostra al MAN sono i due video realizzati nella spiagge di Orosei e di Cala Liberotto. Il primo mostra un paio di scarpe fatte esplodere da una miccia molto lunga e il secondo due ombrelli piantati sul bagnasciuga progressivamente abbattuti dal movimento delle onde. Anche in queste nuove opere si assiste alla contrapposizione tra diverse temporalità, una temporalità lenta e di attesa legata in un caso al lento incedere del fuoco sulla miccia, nell’altro a quello delle onde, e una temporalità veloce, connessa alla fugacità dei due eventi, l’esplosione e la caduta.
Completano l’intervento di Signer al museo nuorese tre installazioni site specific: Ombrelli (2016) situata nella scalinata del museo, evidenzia il precario e instabile equilibrio degli oggetti grazie ad un gioco visivo; Installazione (2016) prototipo di una scultura pubblica da realizzare in un parco, ribalta l’usuale relazione tra opera e spettatore, dove quest’ultimo nell’atto di fruire del percorso celato all’esterno, diviene egli stesso ironico oggetto osservato; e infine Occhiali (2016), una meta-rappresentazione dell’atto di guardare, connessa allo strumento proiettivo del Super 8, con cui l’artista ha felicemente lavorato per gran parte della sua carriera e che si riconnette alla presenza dei 205 film in mostra realizzati con questa tecnica.
Elena Magini