“Il solo grande scultore moderno che abbia tentato di aprire alla scultura un campo più vasto, di rendere con la plastica le influenze di un ambiente e il legami atmosferici che lo avvincono al soggetto”. Non c’è da stupirsi se i Futuristi parlano così di Medardo Rosso nel loro Manifesto tecnico della scultura futurista.
A 35 anni dall’ultima mostra monografica realizzata a Milano, la Galleria d’Arte Moderna del capoluogo lombardo ospita “Medardo Rosso. La luce e la materia”, a cura di Paola Zatti, promossa dal Comune di Milano-Cultura. La mostra, inserita all’interno del ricco palinsesto del calendario eventi di “Expo in città”, rientra nel programma espositivo della Galleria d’Arte Moderna di Milano volto ad approfondire opere e artisti presenti nella sua collezione permanente. Lo scopo è quello di evidenziare il ruolo internazionale e la visione cosmopolita degli artisti proposti. Per l’occasione alle 15 opere della GAM, vengono affiancati una serie di prestiti nazionali e non, provenienti da Musei come la Galleria d’Arte Moderna di Roma e la Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti, e dal Musée d’Orsay e Musée Rodin di Parigi .
La rassegna si delinea come un excursus dalla produzione dell’esordio alla sperimentazione materica di gesso, bronzo e cera attraverso il nucleo tematico dei soggetti e il rapporto con la fotografia che rappresentava per Medardo Rosso non solo un valore meramente documentativo, ma soprattutto una ricerca autonoma. Oltre ad anticipare modalità artistiche tipiche delle avanguardie storiche come scontornature, ingrandimenti, collage, tracce di materia pittorica o addirittura la permanenza dei segni del caso, le opere fotografiche di Medardo Rosso mostrano il carattere satirico del suo lavoro. Come nel caso di Sacrestano (1883-1887) di cui una fotografia restituisce l’allestimento originario voluto dall’artista: l’opera dotata di una straordinaria introspezione psicologica era intitolata Se la fuss grapa che in dialetto milanese significa “se fosse grappa”. Montata su una piccola acquasantiera con su scritto “Indulgenza plenaria” sottolinea non solo l’accento polemico e irriverente della sua produzione scultorea ma dimostra come per Medardo l’allestimento fosse una componente essenziale per la comprensione delle opere.
È ciò che accade anche per Ruffiana (1885). La raffigurazione di questa donna anziana nell’atto di emettere una dirompente risata a cui manca solamente il suono, originariamente era posta sul battente di una porta su cui l’autore incise la parola “fine”. In una delle due versioni esposte sulla base è impresso il nome Margherita che allude al Faust di Goethe. Il soggetto romantico dell’eterna giovinezza rappresenta la bella Margherita in un atto di compiacimento della sua vecchiaia in un paradossale quanto ironico capovolgimento.
La forma vibrante e incerta della materia acuisce invece l’intensa drammaticità di altri lavori in cui riduce la definizione dei dettagli e mantiene le imperfezioni della fusione del bronzo per un impatto emozionale. L’inconsistenza del retro dei volti che è vuoto assume un significato inaspettato. Lo si percepisce in Grande Rieuse (1903-04), opera che nasce come busto a tutto tondo, ma che nella sua versione in cera viene destrutturata rimuovendo via via il busto, il collo e il retro del volto; eliminando ogni legame con lo spazio trasforma il personaggio in una maschera.
In un progressivo allontanamento dal dato reale che sconfina sempre più verso un unicuum atmosferico che tenta di inglobare senza distinzione materia spazio e luce Medardo Rosso rivoluzione la concezione stessa della scultura. Si potrebbe affermare che sia stato proprio Medardo Rosso, infatti, l’anticipatore di quella “scultura d’ambiente” che sarà la scultura Futurista, fatta di compenetrazione dei piani, del prolungamento plastico dell’oggetto nello spazio, di estensione della vibrazione plastica della luce verso l’impalpabile e l’invisibile.
E questo riconoscimento sarebbe stato patrimonio comune, se la carriera di Medardo Rosso non fosse stata ripetutamente stroncata da una critica, quella francese, che tentava di offuscare l’influenza del nostro scultore su un altro grande artista dell’epoca, Auguste Rodin, riconosciuta solo in parte dopo la morte dello scultore di Meudon.
Medardo Rosso, torinese di nascita, ma milanese di adozione si trasferì in Francia nel 1890. Nel suo periodo parigino si collocano opere come Uomo che legge, Henri Rouart, Madame Noblet, Bookmaker. Impossibile non paragonare le linee oblique e il blocco da cui affiora la figura del Bookmaker al Balzac di Auguste Rodin. Sintesi di un’estetica improntata ad un’idea di scultura come impressione fugace: un’immagine latente che deve ancora materializzarsi ed emergere dalla materia. Così appare la “scultura impressionista” di Medardo Rosso: un segno lasciato indefinito nel corso della storia.