Rovesciare Villa Medici

di - 11 Febbraio 2018
“Le numerose irregolarità” è l’intrigante titolo del quarto ed ultimo appuntamento del ciclo UNE, un progetto ideato dalla direttrice dell’Accademia di Francia a Roma, Muriel Mayette-Holtz e curato da Chiara Parisi, che si pone come obiettivo la messa a confronto interculturale e intergenerazionale tra coppie di artiste. Questo ambizioso e intellettualmente sofisticato progetto espositivo ha dato vita ad intrecci visivi e concettuali inaspettati come l’incontro fra Yoko Ono e Claire Tabouret, Elizabeth Peyton Jones con Camille Claudel e Auguste Rodin e Annette Messanger con la “presenza” di Balthus che ha diretto Villa Medici per ben diciassette anni dal 1961 al 1978. L’ultimo appuntamento di UNE presenta il sorprendente confronto fra due artiste della stessa generazione, ma con stili completamente diversi, come la tedesca Katharina Grosse (Friburgo, 1961) e l’italo-francese Tatiana Trouvé (Cosenza, 1968) che con i loro interventi site-specific hanno ribaltato la percezione visiva delle sale espositive.

Katharina Grosse, Le numerose irregolarità, vista della mostra, foto di Alessandro Vasari

Katharina Grosse lavora principalmente con la pittura, che usa direttamente nello spazio per esaltarlo e modificarlo, infatti, come scrive Chiara Parisi nel catalogo della mostra “Non è più la tela ad ospitare un paesaggio, ma è il paesaggio a farsi superficie pittorica”. Tatiana Trouvé, al contrario, indaga le infinite possibilità dell’oggetto scultoreo che assembla usando elementi prelevati dalla realtà e ricontestualizzati secondo una precisa grammatica estetica che ricorre puntualmente nelle sue opere. Il confronto fra queste due artiste è stato concepito come un vero e proprio corpo a corpo nelle prime due sale in cui i lavori, pur nella loro diversità, dialogano grazie alla loro comune radicalità concettuale fondata sull’idea di rovesciamento. Un rovesciamento percettivo che trasforma le pareti d’angolo delle prime due sale in delle superfici fluttuanti che si muovono a seconda dell’aria spostata dai visitatori, la pittura, macchie di colore verde che spiccano sul fondo bianco del tessuto di seta, è in questo caso una presenza delicata e discreta, quasi suggerita, un fondale mobile e suggestivo che inaspettatamente avvolge lo spettatore. La leggerezza di questa pittura di Katharina Grosse contrasta con la solidità materica delle due sculture di Tatiana Trouvé che simboleggiano con la loro falsa fragilità degli spazi precari, come fossero modelli di architetture apparentemente nomadi, delle capanne, ma in realtà solidamente fuse nel bronzo e nel rame.
I materiali hanno però perso la loro connotazione visiva originaria perché sono stati completamente incisi e dipinti con le mappe delle migrazioni antiche e odierne per dare vita ad una sorta di straniante “grande atlante del disorientamento”. In tutta la produzione scultorea di Tatiana Trouvé c’è la costante ricerca per la costruzione di architetture e assemblaggi oggettuali imprevedibili e arditi e, nonostante l’artista utilizzi sempre oggetti prelevati dalla nostra banale quotidianità, saponette usate, scarpe, grucce o sacchetti della spesa, il loro improbabile coesistere e la fusione in bronzo ci fanno completamente perdere il senso di familiarità con cui dovremmo percepirli per obbligarci a guardarli con occhi diversi. Anche nella seconda sala il dialogo è fra lo spazio plasmato e modificato dalla superficie serica fluttuante di Katharina Grosse con gli appunti tridimensionali, sculture e frammenti di altrettante installazioni, di Tatiana Trouvé che lei stessa definisce “annotazioni strutturali”. Equilibri precari, superfici fluttuanti e oggetti assemblati apparentemente in maniera incoerente sono le caratteristiche di base che accomunano i lavori di queste due artiste che riescono a creare un dialogo non banale grazie a queste condivise irregolarità. Nella suggestiva cordonata medicea della Villa Katharina Grosse, questa volta in dialogo solo con lo spazio espositivo, espone una installazione di grandi dimensioni Ingres Wood (2017). Jean Auguste-Dominique Ingres fu direttore di Villa Medici dal 1835 al 1840, e durante il suo mandato fece piantare una serie di pini marittimi per ornare il giardino. Mesi fa, durante un sopralluogo nella Villa, la Grosse ha trovato i tronchi di uno dei pini marittimi che giaceva in un angolo dopo essere stato abbattuto perché malato. Il tronco, tagliato in vari pezzi, è stato assemblato al centro della scalinata e l’artista è intervenuta modificandone la superficie, e quindi la sua percezione, con molteplici strati di vernice a spruzzo dai colori sgargianti.

Tatiana Trouvé, Le numerose irregolarità, vista della mostra, foto di Alessandro Vasari

La Storia passata di questo luogo diventa vibrante presente e il colore assume importanti connotazioni spaziali tracimando dal tronco dell’albero sulla tela che ricopre tutta la superficie della scalinata così da creare un ambiente totalmente immersivo in cui il mondo vegetale diventa una psichedelica architettura che definisce lo spazio. Dice la Grosse «Fin dal XVII secolo il colore è considerato la parte femminile del quadro, meno intelligente e stabile rispetto al solido disegno maschile. Ma nella mia visione l’instabilità è un punto di forza, perché implica apertura e cambiamento. Il colore si relaziona alla flessibilità, alla nostra capacità di essere indipendenti, all’abilità di prendere continuamente decisioni nuove, per questo l’ho scelto come campo di ricerca…Mi affascinava l’idea della longevità dell’albero rispetto all’essere umano; la sua vita cominciata due secoli fa è arrivata fino a oggi. Il mio dialogo con la storia dell’Accademia è partito dal presente. La contemporaneità è sempre il mio punto di partenza; l’obiettivo del mio lavoro è capire come la pittura possa far parte della nostra vita quotidiana in modo normale, come una pompa di benzina o andare dal dentista». Con questa sua ultima potente installazione pittorica, l’artista non solo cancella completamente i confini dell’opera lasciando che il colore invada lo spazio per ribaltarne la percezione ma, soprattutto, riesce a mettere in comunicazione l’interno con l’esterno in maniera del tutto inaspettata.
Le opere di Tatiana Trouvé, che concludono il percorso espositivo, esplorano il terreno delle emozioni e della memoria, l’artista trasformando i ricordi in sculture modulari, esplora creativamente il labile confine tra memoria, passato e futuro, presenza e assenza, realtà e finzione. Particolarmente cari all’artista sono gli eventi anonimi, di solito dimenticati, che costellano le nostre storie personali e che influenzano il corso delle cose. I suoi lavori combinano intricati disegni scenografici, sculture sia lineari che tridimensionali, spazi e trasparenze che accennano a dimensioni invisibili. Sono mondi fragili questi di Tatiana Trouvé, opere fatte di frammenti di lavori precedenti che diventano presenze sospese sulla soglia fra l’essere immaginate e il diventare reali. Queste installazioni, nonostante la loro apparente leggiadria estetica e formale, sono veri e propri malinconici “drammi ambientali” carichi di rimandi ad un altrove che ancora non esiste, a opere che potrebbero nascere, a scarti che da soli non hanno trovato una loro collocazione ma che esposti uno accanto all’altro creano uno scenario formale di grande impatto visivo che magicamente oscilla tra il reale e l’immaginario.
Paola Ugolini

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