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02
giugno 2018
Rovesciato con ragione
Progetti e iniziative
Adrien Missika apre un nuovo “edificio” a Fondazione La Raia. Benvenuti a corte, al Palazzo delle api. Dove nulla è come sembra, e lo sanno bene gli ospiti alieni
Una piramide rovesciata, come «Un’astronave caduta a testa in giù», un «Ricovero per ospiti alieni». Per vedere questa meraviglia non occorre un aggancio con l’area 51, basta molto meno, tipo cercare un luogo tranquillo e fuori dal tram tram cittadino. Caldo e belle giornate pre-estive chiamano un passaggio in quel luogo ameno che è l’azienda agricola La Raia di Novi Ligure, che tramite la Fondazione omonima – e sotto la direzione artistica della vulcanica Ilaria Bonacossa – continua a darsi da fare per la sua promozione sinergica di arte, cultura e territorio. Palazzo delle Api è sorto proprio lì a firma di Adrien Missika (Parigi, 1981), stessa mente brillante che si è spesa in quei virgolettati d’apertura. Parole fuorvianti, le più calzanti per sintetizzare un lavoro fuorviante di suo. Già nel nome che porta, un palazzo è un palazzo, un’opera architettonica e non propriamente d’arte. Effettivamente è un edificio, più che altro una multiproprietà da spartire tra vari campi dell’ingegno umano, con Missika che dovrebbe avere ben più di due di occhi da strizzare quando esclama «È un monumento, un’architettura, un’opera d’arte», e non pago ci mette pure «Una scultura che ha una funzione». Il divagar c’è dolce negli hinterland artistici, e quasi quasi Palazzo delle Api potrebbe anche essere un oggetto di design, rispondendo precisamente all’equazione “quid artistico più funzione pratica uguale design”.
Adrien Missika – Palazzo delle api – courtesy Fondazione La Raia – photo Anna Positano
Ora che le vostre idee saranno sempre meno chiare possiamo concentrarci su questa piramide rovesciata, che teoricamente dovrebbe fornire alloggio ad api nomadi ed altri insetti impollinatori. Per adesso comunque di presenze non ve n’è traccia, e su questo Missika pare cautamente mettere le mani avanti dicendo «È un esperimento, col tempo si vedrà la sua funzionalità». Quella che in foto appare come un oggetto abbastanza ingombrante in realtà è una struttura (a questo punto avrete capito che potete considerarla/chiamarla un po’ come vi pare) diciamo “gestibile”, quindi che non atterrisce né sproloquia nella sua collocazione vista laghetto. A questo punto vi stiamo leggendo nel pensiero, state già immaginando “sta lì perché quel punto piaceva a qualcuno (a vostra discrezione chi)”, un po’ come quando si arreda casa a sentimento e senza l’ausilio di un interior designer malato di feng shui. Non è andata proprio così, e ve lo spieghiamo in tre parole (con citazione “colta” fermamente voluta): Sole, alberi, acqua. Il primo è ben gradito dalle api, in riva al lago ce n’è molto perché non ci sono alberi, ma c’è tanta acqua, così «Le api possono bere» racconta un adorabile Missika al culmine della poeticità.
Adrien Missika – Palazzo delle api – courtesy Fondazione La Raia – photo Anna Positano
Adottando un’altra scuola di pensiero, Palazzo delle api è un blocco del tetris, nella volumetria dei suoi blocchi quanto nelle scelte fondanti che si succedono ad incastro proprio come nel mitico gioco. Per la struttura ad esempio – pietra di Luserna tipicamente piemontese – è stato fatto un ottimo lavoro di filologia dei materiali, ma concomitante con la durevolezza nel tempo che l’artista ha deliberatamente auto-richiesto al proprio lavoro. Altro incastro è la produzione, che media tra processi meccanici ed artigianali, tra blocchi dai tagli netti e levigati, parti scabre e buchi di varie dimensioni (ben 2300 casette a misura di ogni ape) creati manualmente col trapano. Più che nella varietà visivo-tattile in sé, il bello di Palazzo delle api sta in questo sua “divaricata” ideologia produttiva, laddove a distanza t’aspetti un prodotto perfettamente finito, e da vicino ritrovi qualcosa di “naturale” di “familiare”, quel calore dell’internazionale handcrafted che crea empatia con l’opera e non tradisce nella sua surrogazione l’aspettativa di un alveare come “architettura spontaneamente imperfetta”. Spontaneità che è il tocco da maestro dell’artista, e raggiunge l’apoteosi formale nell’intera porzione lasciata coi suoi saliscendi nature, sapientemente nascosta come un effetto sorpresa.
Sicuramente però vi rimane un’ultima curiosità: perché una piramide e perché rovesciata? Potete scatenare tutto il “critichese” che avete in canna, ma per questo lavoro, la cui progettualità tra l’altro è stata lunga nel tempo, «Le decisioni formali nascevano da un bisogno strutturale. Con la piramide rovesciata nei buchi non entra acqua, poiché il piano soprastante fa da riparo», così parlò Missika. Chissà cosa vi eravate creduti.
Andrea Rossetti