Il Novecento non ha prodotto alcun trattato sulle tecniche
di costruzione con la sabbia, eppure ci sono alcuni consigli che tutti gli
“artisti di Ferragosto” dovrebbero seguire: scegliere un giornata
poco ventosa, tenersi lontano dalla marea e, ancora, utilizzare sempre una
miscela composta da otto parti di sabbia asciutta per una di acqua. Ogni anno
le spiaggie americane di Virginia Beach ma anche di Jesolo si riempiono di
dragi posticci, tritoni grossolani e stucchevoli coppie d’innamorati di sabbia
tutti in lizza per il primo premio assegnato spesso al meticoloso John Goudy.
In alcuni casi, le sculture in concorso di fattura iperrealista sono irrorate
con uno spray fissante prima di essere passate al vaglio della giuria: è
l’apotesosi del kitsch nella sua versione più gongolante, servito con un
pizzico di antiromanticismo. In ogni caso, siamo molto lontani dalla
sensibilità artistica che aveva contribuito a sdoganare la Land Art negli anni ‘70.
Forse l’unica eccezione alla regola è rappresentata dallo
scultore yankee Gerry Augustine Lynas, autore di composizioni di grande formato realizate
compattando la sabbia con oggetti di fortuna, come il suo inseparabile frisbee.
Le sculture di Augustine Lynas raffigurano volti e luoghi immagiari come simboli
effimeri di una civiltà arcaica mai esistita, vittime dell’erosione del vento e
della marea. L’accettazione romantica e “panteizzante” della
distruzione delle proprie opere avvicina concettualmente i suoi lavori ai beach
project dell’olandese Jan Dibbets come 6 Hours Tide Object with
Correction of Perspective incluso nella prima storica antologia
videoregistrata Land Art compilata da
Gerry Schum nel 1969. L’intervento anarmorfico di Dibbets, riproposto lo scorso
anno sul litorale Rotterdam nell’ambito del progetto Portscapes, consisteva in un trapezio gigante disegnato sulla
sabbia con un bulldozer e corretto dall’occhio della videocamera in modo da
sembrare un quadrato.
Animata “a passo uno” da un regista oppure
manipolata davanti al pubblico, la sabbia continua a offrire il meglio di sé su
un tavolo luminoso. Prima di dedicarsi all’animazione della pittura su vetro, Caroline
Leaf realizza alcuni cortometraggi pioneristici quali The Owl who
Married a Goose (1974), tratto da una leggenda eschimese dedicata alla
solitudine di un gufo troppo vecchio per migrare insieme ai suoi piccoli.
chateau de sable (1977) di Co Hoedeman, realizzato mescolando la rena con tecniche di claymation, è invece il primo lavoro a godere di
una diffusione televisiva internazionale. C’è anche la polacca Aleksandra
Korejwo, autrice di
videoclip fatti con sale e sabbia colorati. Nella sua interpretazione della
Carmen, Korejwo mette in scena uno spettacolo frenetico di forme che mutano
senza sosta come in una fantasmagorie del cinema delle origini.
Su un altro versante si colloca invece il lavoro degli
artisti che stupiscono le platee con l’animazione in presa diretta della sabbia.
Ecco allora il guru ungherese Ferenc Cako, l’israeliana Ilana Yahav, autrice di una campagna sociale Enel, e l’ucraina
Kseniya Simonova, apprezzata
per una struggente ricostruzione dell’occupazione nazista nel suo Paese. Tutti
nomi che lavorano come gli autori di lighting sketch che “animavano” un
blocco di carta tracciando dei disegni rapidamente davanti al pubblico in epoca
vittoriana.
Segno che forse la sand art è figlia allo stesso
tempo del pre-cinema e dei castelli di sabbia costruiti durante la nostra
infanzia.
giuseppe sedia
[exibart]
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Vorrei segnalare una delle più importanti esponenti della Sand Art italiana. ANNA MARIA PAGLIEI che con la collaborazione del regista DANIELE ONORATI lavorano su degli spettacoli molto affascinanti e suggestivi, richiesti in tutto il mondo.
Presto sarà online il sito http://www.sandart.it
Già attiva la fan page su facebook che potete trovare cercando appunto sandart.it
Vi posto un link che a me piace moltissimo dove sembrano svelarsi alcuni prezioni segreti di questa meravigliosa arte.
http://www.youtube.com/watch?v=Z2oDzVm89rY
Grazie e un saluto a tutti.