Qui a ovest, da tempo immemore, cresciamo e ci formiamo scrutando le muscolarità eroiche e prestanti delle statue di dei e semidei greci, romani e cristiani. Il Poseidone di Capo Artemisio, l’Ercole Farnese, i bronzi carnali e disumani di Riace. Perfino i più “vicini” Gesù Cristo (La Flagellazione di Caravaggio) o tutta l’iconografia moderna di San Sebastiano (Bernini, Rubens, Delacroix) hanno spesso ricalcato forme e posture sempre più cariche e plastiche, col puro intento di coniugare bellezza, fascino e santità.
E pensare invece che per lungo tempo, a est, la divinità del Buddha veniva dolcemente accennata con semplici elementi naturali. Un fiore di loto, candido e puro perché mai sporcato dalla terra o inumidito da gocce di rugiada. Come il ficus sacro, l’albero sotto il quale Siddharta Gautama ha vissuto il Bodhi, il risveglio, l’illuminazione. O sotto forma di leone, forte, signorile e regale. Addirittura in epoche successive (dal IV secolo), grazie alle influenze indiane, le raffigurazioni del corpo dei bodhisattva erano caratterizzate da alcuni segni sul collo, le “tre rughe dell’opulenza”, testimonianza di una liberazione reale, mai separata dal ciclo della vita, dell’invecchiamento e della morte.
Una visione iconografica dunque totalmente opposta, appagata e serena, carnale e riflessiva, estremamente differente dal nostro modo di concepire il dialogo tra il materico e il divino. E ridurre questa vicinanza/lontananza dal nostro comune sentire è da sempre una delle mission del MAO – Museo di Arte Orientale di Torino che da oltre 15 anni cura ed espone numerose collezioni provenienti da diverse regioni asiatiche, in particolare opere e manufatti dalla Cina. E tra esse spiccano delle splendide sculture buddhiste mai mostrate al pubblico e che finalmente sono state esposte in occasione della mostra “Buddha10. Frammenti, derive e rifrazioni dell’immaginario visivo buddhista”. Più di venti statue in legno o pietra scolpite tra il V e il XIX secolo, bronzetti votivi della collezione Auriti e due teste scultoree di epoca Tang (618-907 d.C.), prestiti del Museo delle Civiltà di Roma e dal Museo d’Arte Orientale Chiossone di Genova.
Un’ esposizione complessa e ricercata, concepita con una visione olistica, un percorso naturale e spirituale, immersivo e operativo allo stesso tempo, per meglio introdurci a questi antichi reperti. Ci accoglie un giardino con diverse composizioni vegetali, realizzato dal Prof. Stefano Mancuso (fondatore del Laboratorio internazionale di neurobiologia vegetale) insieme all’artista e designer Andrea Anastasio. Un ambiente speciale, composto da una ventina di basamenti smaltati su cui radicano piante, a formare una sorta di “prana” naturale in grado sia di depurare l’aria dalle scorie atmosferiche che di nettare pensieri e agitazioni lontane dal momento. Veniamo così preparati alla vista del Buddha, al suo sguardo coinvolgente e rasserenante. A differenza dell’iconologia cristiana, infatti, arricchita di scene e attori agenti in tempi e narrazioni eroiche e teatrali, questi manufatti ci osservano, ci scrutano, ci domandano, senza giudicarci o definirci. E cosi la pietra, il legno, le superfici rugose, dipinte o naturali, trattate o lasciate al disegno naturale; tutto sembra risucchiato nello sguardo di queste statue, oscure e accoglienti al tempo stesso.
Un’ onda che trova eco anche in altre forme, attraverso alcune opere di artisti contemporanei che accompagnano il percorso della mostra. Come l’installazione Ah! di Charwei Tsai, uno dei tre capitoli di “So will your voice vibrate”, già presente ad Artissima di Torino, con un film proiettato su uno schermo sospeso sull’acqua e che riproduce forme e fonemi della vocale sacra a molte religioni. O le linee divinanti di Wu Chi-Tsung, ricavate illuminando con tenui fasci di luce le statue dei bodhisattva cinesi. O della delicatezza dei tratti a matita di Drawing life, di Zheng Bo, che ci ricordano una natura viva, delicata e sottile, che non può mancare nel nostro percorso di crescita interiore e spirituale.
A completare questo percorso dai tratti fondanti e rigenerativi ci saranno infine alcune performance di alto livello, tra cui le incorporee onde sonore della composer e visual artist Amosphère e le delicate figurazioni coreutiche e intersoggettive dell’artista e performer di Lee Mingwei. Tutti strumenti per provare a rispondersi alle domande che affiorano dinanzi a statue così enigmatiche. E che celano e suggeriscono allo stesso tempo il segreto fondamentale, che questi occhi e queste espressioni di legno e pietra ci tramando da secoli. Non tanto il decantato “mistero” della vita, quanto piuttosto del dono di cui parlava Gautama. E cioè che quel dono sei tu.
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