Se insegnare fa rima con imparare

di - 8 Gennaio 2016
Nel 1972 Joseph Beuys fu costretto ad abbandonare la sua cattedra all’accademia di Dusseldorf dopo aver accettato nella sua classe, in segno di protesta contro l’etilismo dell’istituzione, tutti gli studenti che quell’anno non avevano passato gli esami di selezione. Tuttavia l’artista tedesco, che aveva definito l’insegnamento la sua opera più grande, non rimase a lungo lontano dalle aule. Già l’anno successivo, insieme allo scrittore Einrich Böll, fondava nel suo atelier a Dusseldorf la Free International University, con lo scopo di incoraggiare, scoprire e promuovere il potenziale democratico, in tutte le sue espressioni. Una università senza esami, senza numero chiuso, senza limiti di età. Una scuola in cui docente e discente avrebbero imparato vicendevolmente l’uno dall’altro e dove l’attenzione si sarebbe focalizzata sull’interazione tra individuo e società. Basata sull’idea che la creatività non è prerogativa esclusiva di quanti praticano l’arte in modo professionale, ma presente in ciascun individuo, sebbene tenuta a bada dalla competitività e dall’imperativo del successo imposti dalla società dei consumi. Nel manifesto della Free International University la creatività assume per Beuys un valore politico: diventa la capacità di articolare la propria individualità nella sfera pubblica, superando il modello della delega di decisione e di potere tipica delle forme di governo parlamentari, coerentemente con quanto stava cercando di realizzare negli stessi anni con i diversi progetti legati alla sua Organization for Direct Democracy through Referendum.

La Free International University non è stata la prima istituzione educativa creata da un artista, non hanno bisogno di essere ricordati qui gli esperimenti pedagogici di Walter Gropuis, Vassily Kandinsky e Paul Klee al Bauhaus di Dessau, così come il fertile terreno da cui al Black Mountain College si svilupparono i percorsi artistici di docenti e allievi come John Cage, Robert Rauschenberg e Merce Cunningham. Beuys fu però il primo a considerare la pedagogia come pratica artistica, e la scuola da lui fondata come social scultpure. Una visione che negli anni è stata riformulata da diversi artisti in una varietà di approcci a diverse latitudini, accomunati dall’uso di una pratica collaborativa e relazionale. Alcuni lavorano all’interno di strutture educative tradizionali, come Tim Rollins, tra i fondatori di Group Material che a partire dai primi anni ’80 tiene laboratori per studenti “difficili” nella Intermediate School 52 nel Bronx, a New York. Con loro ha dato vita a K.O.S. – Kids of Survival, un gruppo da cui ad oggi sono passati molti ragazzi – alcuni di loro poi divenuti artisti a loro volta. A partire da testi letterari o partiture musicali, Rollins guida i ragazzi in una rielaborazione del materiale originale che può prendere la forma di disegni, foto, sculture o dipinti, con un metodo di lavoro ispirato alla pedagogia degli oppressi del brasiliano Paulo Freie, che ha identificato nell’educazione uno strumento di liberazione. Dunque, la possibilità di dare voce “a chi non ce l’ha”, attraverso un percorso di apprendimento che si accompagna alla ridefinizione di un progetto di vita.

Per altri artisti la lezione di Beuys si traduce in un’attenzione per i processi di riflessione collettiva, in luoghi normalmente non deputati. Jeanne van Heeswijk ha organizzato la prima edizione di Public Faculty a Skopie nel 2008, e da allora l’ha portata a Rotterdam, Zurigo, Londra, Los Angeles, Vranje (Serbia) con il desiderio di mettere in atto “un uso genuinamente pubblico della ragione”, attraverso conversazioni con i passanti su temi di interesse pubblico, in luoghi simbolici della città. Public Faculty si basa sullo scambio di sapere tra pari, a partire dalla convinzione che ciascuno può contribuire in modo costruttivo a delineare un argomento, contestualizzarlo nel tempo e luogo presenti e immaginare alternative. In Public Faculty Jeanne van Heeswijk non assume la posizione del docente, ma piuttosto del facilitatore di un processo di riflessione collettiva, che richiama la figura del “maestro ignorante”, delineata dal filosofo francese Jacques Rancière: un maestro che insegna non trasmettendo informazioni, ma stimolando i suoi allievi ad esplorare temi anche a lui sconosciuti.
L’interesse per la metodologia pedagogica sembra aver permeato negli ultimi anni anche i formati curatoriali, a partire dall’edizione non realizzata di Manifesta nel 2006, immaginata in forma di scuola d’arte sulle sponde greca e turca dell’isola di Cipro dai curatori Florian Waldvogel, Mai Abu ElDahab e Anton Vidokl, e realizzata poi da quest’ultimo a Berlino con il progetto Unitednationsplaza.  E anche la Biennale di Kiev che si è aperta a settembre, nonostante la complessa situazione politica della regione, ha adottato il formato della scuola. Agli eventi espositivi tradizionali sono stati affiancati dei forum collaborativi in cui artisti, intellettuali e pubblico hanno condiviso riflessioni ed esperienze a partire dalla situazione contingente ucraina: dalle proteste politiche, all’esperienza della guerra e dei rifugiati, alle strategie di narrazione e documentazione del conflitto.

La riflessione sul ruolo sociale dell’arte e dell’uso di formati pedagogici è stata inclusa anche da Okwui Enwezor nel programma della sua Biennale. Per indagare “tutti i futuri del mondo” il curatore ha infatti deciso di invitare quest’estate a Venezia il Creative Time Summit, proponendo di dedicarlo al tema del curriculum, inteso come percorso di formazione e sviluppo dell’identità. Per tre giorni al Teatro alle Tese artisti, attivisti e ricercatori hanno presentato progetti ed esperienze in cui il cambiamento passa attraverso modelli di apprendimento non convenzionali, trasmissione di saperi tradizionali, auto-educazione.
Dedicato da oltre vent’anni alle pratiche artistiche impegnate nella sfera sociale e politica, il Creative Time Summit si è trasferito eccezionalmente in laguna da New York, dove una nutrita delegazione italiana ha contribuito in modo significativo ad articolare il tema proposto. A partire dalla presenza di Visible, il premio dalla Fondazione Pistoletto e dalla Fondazione Zegna, che proprio due anni fa è andato al progetto di Ahmet Ögüt, Silent University, una scuola in cui migranti diventano docenti, riappropriandosi della propria dignità attraverso la condivisione della propria conoscenza. Grazie a Visible, la School of Narrative Dance di Marinella Senatore – già realizzata a Cagliari, Roma, Torino, approdata in Svezia, Ecuador, Svizzera e premiata nel 2014 al Maxxi – ha attraversato via Garibaldi, la grande strada vicino i Giardini, coinvolgendo abitanti e passanti, danzatori professionisti e dilettanti in un elogio collettivo del talento e delle capacità di ciascuno. Beatrice Catanzaro ha presentato il progetto che ha realizzato a Nablus, in Palestina, con un gruppo di donne di diverse età, e diventato nel tempo una realtà autonoma in grado di auto sostenersi. Bait Al Karama è un centro socio-culturale le cui attività hanno reso possibile generare una fonte di reddito per le partecipanti, a partire dalla condivisione dei saperi legati al cibo e alla cucina del luogo, certificato da Slow Food.

Nel suo ruolo di docente, oltre che di artista, Cesare Pietroiuisti ha esplorato il ruolo del dubbio come strumento di verifica costante, mentre l’ultimo giorno Toni Negri, in una presentazione affollatissima, ha invitato tutti i presenti a considerare il proprio curriculum, il proprio percorso di crescita personale e professionale, non come una lista di conquiste individuali ma come il risultato di un flusso costante di collaborazioni con l’altro, come strumento per resistere alla cooptazione del capitale . Quasi un ideale riamando a Beuys e il suo sogno di una trasformazione sociale attraverso un continuo percorso di evoluzione individuale.

Silvia Simoncelli

Storica dell’arte e curatrice indipendente. Tra i suoi interessi, il mercato e l'economia dell'arte, le pratiche artistiche legate alla critica delle istituzioni e l’arte nello spazio pubblico. E' course leader del Master in Contemporary Art Markets di NABA Nuova Accademia di Belle Arti Milano. Insegna inoltre all’Accademia di Belle Arti di Brera e all'Università Leuphana a Luneburg (D). E’ Italian Editor dell’Art Market Dictionary (De Gruyter), collabora con ArtEconomy24 e Exibart.

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