«Dalla periferia possono nascere progetti più affascinanti e coraggiosi». Si potrebbe partire dalle parole del curatore Andrea Bruciati per comprendere il peso del progetto espositivo “Giorgio Morandi-Vincenzo Agnetti. Differenza e Ripetizione”, visitabile a Palazzo De Sanctis di Castelbasso fino all’11 settembre 2016. Una mostra organizzata e promossa dalla Fondazione Malvina Menegaz per le Arti e le Culture in occasione della terza edizione di Arte in Centro, il network che unisce Marche e Abruzzo sotto il segno dell’arte contemporanea, grazie alla sinergia della Fondazione Aria di Pescara, dell’Associazione Arte Contemporanea Picena di Ascoli e della Fondazione Menegaz di Castelbasso.
È proprio la parola “coraggio” che colpisce e stimola l’ascolto. Anche il mondo dell’arte ne ha bisogno, soprattutto quello accostato ai margini geomorfologici della penisola, quello che spesso non viene preso in considerazione nel modo che meriterebbe. Coraggio: una parola che porta dietro con sé quelle di “professionalità” e “intraprendenza”, grazie alle quali chi osa riesce a concretizzare progetti che hanno il buon sapore della ricerca. La mostra “Giorgio Morandi-Vincenzo Agnetti. Differenza e Ripetizione” ne è un felice esempio. Mette al centro l’incontro, il dialogo fra due grandi maestri: da un lato Morandi (Bologna, 1890-1964), uno dei più riconoscibili e originali protagonisti della pittura italiana del Novecento, abile incisore, noto per le sue creazioni composte da bottiglie e semplici oggetti quotidiani; dall’altro Agnetti (Milano, 1926-1981), artista poliedrico che ha dedicato la sua esistenza ad uno studio accurato, sconfinante nei vari saperi, dando forma a quello che molti hanno riconosciuto come “un universo mentale che non si lascia imprigionare da limiti”.
Il curatore Andrea Bruciati parte dal concetto di differenza e ripetizione ribadito dall’omonimo saggio di Gilles Deleuze (1968) e a Palazzo De Sanctis propone al pubblico un modo diverso di interpretare gli ultimi cinquant’anni della storia dell’arte italiana. Il risultato? Un rigore poetico che accompagna il visitatore in tutte le stanze in cui l’accento è posto sulla pratica iterativa perseguita in vita dai due maestri. E come in poesia è la metrica a suggerire l’intensità delle emozioni tradotte in parola, così per Morandi e Agnetti «la ricerca è condotta per intensificazione, seguendo quasi una frequenza ritmica, circolare per il primo, ellittica per il secondo», spiega Bruciati.
Il pubblico potrà osservare i paesaggi, i fiori e le nature morte del pittore bolognese, caratterizzate da un puro tratto e da una forma che sembra liquefarsi grazie alle macchie di colori coagulanti. L’ambiente che domina le composizioni è «concettualmente terso, intimo, metafisico». La Natura morta (olio su tela) del 1958 lo esprime chiaramente. Per Vincenzo Agnetti, invece, risulta fondamentale l’azione di azzeramento, di cancellazione, riprendendo le istanze rivoluzionarie di Piero Manzoni ed Enrico Castellani. È noto il suo 1°: non commettere atti impuri, che nel 1959 pubblica nella rivista Azimuth. Il visitatore si troverà di fronte l’ampia declinazione di quella nuova alfabetizzazione cui Agnetti diede vita nelle sue opere per mezzo della sostituzione e dell’inversione dei codici: lettere al posto dei numeri, suoni o silenzio in luogo di forme, perché la linea è un numero infinito di secondi in movimento nello spazio. I feltri dipinti si accostano agli Assiomi e alle serie fotografiche del Progetto Panteistico, per arrivare alle photo-graffia e a quel Trittico del 1970 in cui alcune scritte si incidono su pannelli di zinco: Considera l’assenza come tempo e luogo/ su tutte le cose/ che rimarranno là.
A Palazzo Clemente, invece, dopo le mostre di Alberto Di Fabio nel 2014 e Gino De Dominicis nel 2015, si propone parallelamente una selezione di opere della collezione della Fondazione Menegaz con la mostra “Storie e opere” a cura di Laura Cherubini. Inaugurata il 28 giugno 2016, la mostra vede la luce a cento anni dalla nascita di Malvina Menegaz e disegna perfettamente l’abito di una narrazione che, stanza dopo stanza, mette in evidenza il profondo interesse mosso negli anni dalla Fondazione verso l’arte contemporanea e i vari linguaggi che la rappresentano nelle diverse modulazioni.
Castelbasso infatti non è soltanto il borgo della provincia di Teramo in cui da tre anni si situa una tappa di Arte in Centro. Non è soltanto il luogo in cui il silenzio della natura circostante dialoga con la voce degli artisti che lo hanno abitato – con le loro opere – sin dal 1999. Castelbasso è anche l’idea imprenditoriale che si tramuta in azione concreta, è la volontà di riqualificare un antico borgo – come di fatto è avvenuto – e poi costruire ancora qualcosa di nuovo con le proposte di chi si muove nel mondo dell’arte e di essa si nutre. Lo dice la storia, puntualmente ripercorsa da Laura Cherubini in un’intervista pubblicata in catalogo (Silvana Editoriale) al presidente Osvaldo Menegaz, al vice presidente Vincenzo Tini D’Ignazio e allo storico collaboratore Antonio Di Marcantonio. Leggendola, si percepiscono le parole-chiave attraverso cui interpretare questo nuovo progetto presentato al pubblico a Palazzo Clemente: fare sistema, creare incontri, interferenze, nutrire la passione per l’arte. Organizzare mostre che lascino a Castelbasso l’impronta di artisti storicizzati (Lucio Fontana, Mario Schifano, Alighiero Boetti, Enrico Baj, Carla Accardi, Alberto Burri, per citarne alcuni) accanto alle nuove “voci” del panorama contemporaneo.
La mostra della collezione proposta quest’anno si offre dunque con questo spirito, per ricordare ciò che è stato e ciò che ancora potrà essere in un borgo che vive la sua dimensione geografica periferica senza scoraggiarsi, dimostrando piuttosto la capacità di creare ponti di collegamento con un altrove. Un borgo che dimostra che non è solo la grande città l’unico centro in cui è possibile coniugare il verbo “fare”. Anche la curatrice Laura Cherubini lo ricorda, prendendo in prestito le parole di Gino De Dominicis: «Se hai un problema chi chiami? Un artista».
Ecco allora i nomi selezionati e presenti in Storie e opere: Carla Accardi (Trapani, 1924 – Roma, 2014), Franco Angeli (Roma, 1935-1998), Kengiro Azuma (Yagamata, Giappone, 1926), Manfredi Beninati (Palermo, 1970), Alberto Biasi (Padova, 1937), Luigi Boille (Pordenone, 1926 – Roma, 2015), Piergiorgio Branzi (Signa, 1928), Tullio Catalano (Roma, 1944 – Bologna, 1999), Mario Ceroli (Castel Frentano, 1938), Claudio Cintoli (Imola, 1935 – Roma, 1978), José D’Apice (San Paolo, Brasile, 1949), Alberto Di Fabio (Avezzano, 1966), Stefano Di Stasio (Napoli, 1948), Tano Festa (Roma, 1938-1988), Marco Gastini (Torino, 1938), Guido Guidi (Cesena, 1941), Renato Mambor (Roma, 1936 – 2014), Francesco Paolo Michetti (Tocco da Casauria, 1851 – Francavilla al Mare, 1929), Gian Marco Montesano (Torino, 1949), Nunzio (Cagnano Amiterno, 1954), Mimmo Paladino (Paduli, 1948), Mimmo Rotella (Catanzaro, 1918 – Milano, 2006), Giuseppe Spagnulo (Grottaglie, 1936), Ettore Spalletti (Cappelle sul Tavo, 1940), Giuseppe Stampone (Cluses, Francia, 1974), Joe Tilson (Londra, 1928), Marco Tirelli (Roma, 1956), Giulio Turcato (Mantova, 1912 – Roma, 1995), Vedovammazzei (Milano, 1991), Alberto Ziveri (Roma, 1908-1990).
Un percorso non solo artistico, dunque, ma il tracciato di un’idea fattasi strada in un piccolo centro e poi sedimentatasi e sbocciata nei suoi molteplici frutti.