Se l’artista guarda la natura con l’occhio della mente

di - 25 Ottobre 2012

Nella suggestiva cripta del Museo Marino Marini di Firenze, dedicata alle mostre temporanee, Paola Bortolotti propone la rassegna “Osservazione della natura in stato di quiete. L’opera tra aura e condivisione” (fino al 3 novembre).

Il titolo si compone di due frasi, che tuttavia non si determinano. La prima: “osservazione della natura in stato di quiete”, orienta le intenzioni speculative della mostra, suggerendo, nel contempo, il campo estetico di ricerca degli artisti, ma soprattutto delinea il porsi dell’artista come colui che osserva e si relaziona con una realtà ‘scontata’ qual è la Natura (con la N maiuscola). Un artista che ‘guarda’ e raccoglie, scompone e ricompone in un proprio alfabeto di segni, luoghi, presenze, non tanto e non solo con l’occhio fisico, ma con quello della mente; mentre la seconda: “l’opera tra aura e condivisione”, colloca l’evento in una cornice di riflessione storico-critica e politica.

La natura è quindi il dato oggettivo da cui prende le mosse la mostra, costituita da una compagine molto eterogenea di opere realizzate con soluzioni che inclinano dall’immagine liquida, alla classicità della pittura, comprendendo all’interno dell’ ‘arco’ performance, installazione, fotografia, disegno. Tornando alla nozione dell’osservare, immediatamente il parallelo è con l’evoluzione biologica e culturale della specie umana che volgendo il proprio sguardo verso le cose della natura compie un’azione necessaria alla propria sopravvivenza. La Natura è la realtà e diviene esperienza, pertanto la Natura è assimilata al concetto di esistenza.

Alla concretezza della visione, del tatto, dell’olfatto e dell’udito, fa seguito la creazione d’immagini e la specie umana da espressione di Natura essa stessa diviene ciò che anche noi oggi siamo, ‘natura naturata’ che intellettualizza le sensazioni, le emozioni.

Scoprendo la propria condizione di diversità rispetto al resto della natura vivente, nelle grotte di Lascaux, ad esempio, l’individuo traccia un segno strutturato, delinea con efficacia le proprie immagini mentali per descrivere una scena. Un esempio primordiale d’imitazione della natura, di riproposizione della realtà che testimonia l’irruzione creatrice dell’immaginazione attraverso un linguaggio visivo, simbolico, che comunica all’altro da sé sensazioni proprie, visioni proprie, intenti, volontà. Quella delle grotte di Lascaux è un’esistenza unica in un luogo particolare,e il significante di quelle immagini veicola una promessa ed esorcizza un timore, complessivamente il risultato di quel gesto diviene il tessuto connettivo di un messaggio che oltrepassa il momento stesso del suo attualizzarsi e per questo testimonianza estetica cui è conferibile un’aura, oltre che per il suo valore culturale.

Infatti, nel saggio su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Walter Benjamin intende l’aura non come una proprietà in sé delle cose, ma come un contenuto di coscienza visualizzato nel “medium della percezione”, ossia, l’«apparizione irripetibile di una lontananza, per quanto vicina questa possa essere». Definire l’aura «un’apparizione irripetibile di lontananza» altro non significa, come scrive Ferruccio Masini in Metacritica dell’aura, se non formulare, usando i termini delle categorie della percezione spazio-temporale, il valore culturale dell’opera d’arte.

Ebbene, le grotte di Lascaux scoperte nel 1940, negli anni Sessanta chiuse al pubblico, restaurate e oggi visibili come riproduzione fedele, sono lì con tutta l’aura della loro portata culturale e testimoniano fedelmente di sé attraverso una riproduzione politically-correct, affinché chiunque ne possa godere.

Il mondo dell’arte talvolta si sofferma intorno a questioni che la contemporaneità ha metabolizzato. L’aura, sia di un’originale sia di una riproduzione, attiene all’opera d’arte, comunque. Riprendendo l’esempio delle Grotte di Lascaux, l’arte è espressione di un tempo, di un’epoca? Se fosse così sarebbe parziale. L’artista visivo si propone attraverso la propria urgenza creativa, sfruttando ogni mezzo, più o meno coerente con il proprio presente. Se poi il proprio è un tempo dove l’immagine inflaziona se stessa e si svuota di senso, l’arte ne registra il sintomo, ma operando con l’immagine non ne può far fronte come medicina. Questa è anche la sensazione che ho percepito visitando la mostra che gli artisti Michele Chiossi, Rolando Deval, Piero Gilardi, Luciana Majoni, Giovanni Ozzola, Cristina Palandri, Daniela Perego, Caterina Sbrana, Virgilio Sieni, Deva Wolfram hanno costruito con le proprie opere, condividendo con lo spettatore una porzione visibile e tangibile della propria visione della Natura.

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