15 gennaio 2012

Sex workers di tutto il mondo unitevi sotto l’ombrello dell’arte

 
Ricordate le tende rosse che fecero irruzione nel glamour della Biennale di Venezia più di dieci anni fa? Ospitavano le prostitute di mezzo mondo. Da allora l’artista sloveno Tadej Pogacar non ha mai mollato. Muovendosi tra New York e Zagabria, giochi e performance. Oggi un libro fa il punto su uno dei mercati più floridi del pianeta. E lo intreccia all’arte per darle un segno sociale. Politicamente corretto? No sfacciatamente creativo

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Un libro bollente nei contenuti. Code:Red è una storia a luci rosse non tanto perchè racconta le vicende di diverse lavoratrici del sesso ma perchè mette in luce le dinamiche sociali, politiche e geografiche di una categoria che nel mondo occidentale difficilmente ha trovato tutela e supporto. Eppure i protagonisti di questo racconto appartengono alla fascia più debole della popolazione: donne, bambini, transessuali. Nell’ambito dello studio dei flussi migratori nell’epoca della globalizzazione, lo sloveno Tadej Pogacar è l’artista che ha creato, in oltre dieci anni di attività, una sequenza di pagine che danno voce a chi non ce l’ha, agli attori muti di una performance inesausta che si preferisce non osservare. 
La prostituzione alimenta il mercato nero dell’economia andando a braccetto con gli spostamenti in massa delle popolazioni da una parte all’altra del globo terrestre. Corpi usa e getta senza statuto. Prima di colore, poi bianchissime, ora orientali.
Il progetto Code:Red negli anni ha assunto una forma multidisciplinare e intrecciata con ambiti eterogenei – arte, dibattiti, sociologia e produzione di economia informale – analizzati dai gruppi autonomi dei “sex-worker” e supportati dal contributo di economisti, sociologi, filosofi.
Uno studio approfondito che ha preso corpo in un libro curato da Tadej Pogacar e presentato il 12 gennaio alla Galleria A+A di Venezia, città da dove era partito il caso emblematico del Padiglione delle Prostitute durante i giorni dell’inaugurazione della Biennale del 2001 quando ai Giardini, in una tenda rossa, i gruppi e le organizzazioni partecipanti all’iniziativa  provenienti da Taiwan, Thailandia, Cambogia, Vietnam, Italia, Germania, USA e Australia concepirono questo primo congresso come una cornice creativa per connessioni di scambio e informazione sul mercato del sesso e per studiare strategie di lotta per i diritti civili dei lavoratori sessuali. 

La pratica live, in qualche modo situazionista nell’accezione letterale di “creare situazioni”, è stata fondamentale per lo sviluppo del progetto e per portare all’attenzione del pubblico le questioni sociali dell’impresa: nel Marzo 2001 una delegazione del congresso delle sex-worker sfilò per il centro di Venezia con megafoni e una serie di ombrelli rossi per infrangere la barriera del silenzio e turbare il comune andamento cittadino. Nel Maggio dell’anno successivo fu la volta di New York, dove in massa sfilarono lentamente su Times Square, disperdendosi nella folla dei passanti, donne, trans e omosessuali con ai piedi delle scarpe dorate. Anche in questo caso la location non era scelta a caso ma per sensibilizzare l’opinione pubblica intorno all’emblematica piazza di Manhattan, negli anni settanta e ottanta crocevia di attività di prostituzione e criminalità, in seguito resa un’innocua location per turisti. New York negli anni dell’amministrazione Giuliani ha represso la prostituzione evocando i motivi della salute pubblica quando, molto spesso, si è trattato più che altro di manovre per far spazio alle multinazionali pronte ad impiantarsi nelle aree fino allora neglette della città.

E non è finita: nel 2003 a Zagabria furono sperimentate una serie di unità di abitazioni mobili in collaborazione con architetti e designer dislocate in varie zone urbane con l’obiettivo di creare condizioni di lavoro favorevoli e non abusive per chi si occupa del sesso. In genere l’unità abitativa, facilmente assemblabile, era corredata da cinque vani e compresa di bagno e zona pranzo. 
Nel 2004 invece la vena creativa e ironica del gruppo di lavoro ha ideato Monapoly seguendo le tracce base di Monopoli, forse il gioco da tavolo più famoso della società capitalistica, rinnovandone ovviamente i contenuti. Nella nuova versione i giocatori possono ottenere informazioni sul lavoro sessuale globale, sulle organizzazioni di attivisti ma anche sulle bande criminali organizzate che si occupano della tratta delle donne dall’est Europa e dall’Africa. I giocatori in questo caso possono finanziare la costruzione di una casa sicura, sostenere il funzionamento di gruppi che stanno lottando per i diritti dei lavoratori del sesso o possono salvare una schiava della Moldavia. Non più il gioco all’accumulo del capitale, quindi, ma la necessità di spiegare che esistono anche generi di consumo “umano”, importati come merce da ogni lato del nostro pianeta.
Un capitolo importante Code:Red, per due motivi: il primo come osservatorio per un fenomeno che non ha nulla di marginale, ma che sfiora costantemente l’emergenza. Il secondo, non meno importante, riguarda l’arte e le sue forme di poetica improntate sul sociale, nell’attivazione di un processo dinamico che ha attraversato l’Europa, e non solo. Che ha giocato le sue carte senza esaurirsi e senza divenire un sermone sterile di nozioni, come spesso accade nelle manifestazioni che vivono di temi politici e umani.
Matteo Bergamini

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