Francesco Vezzoli versus Zaha Hadid, in un sofisticato dialogo tra il modernismo stravolto dall’architetto e la tradizione riletta e invocata dall’artista. “Un’impertinente violazione”: così Vezzoli ha definito il suo intervento nella galleria 3 del MAXXI, in occasione della sua antologica che si inaugura il 29 maggio. E l’ingresso alla Galleria Vezzoli (questo è il titolo della mostra, inserita in una trilogia che prosegue in autunno al MOMA P.S.1 di New York per terminare al MOCA di Los Angeles) è davvero spiazzante, ed evoca, attraverso un sottile e raffinato displacement, non tanto le atmosfere immobili e congelate di aristocratiche collezioni capitoline come la Doria Pamphilj o la Colonna, quanto il museo Getty di Malibu, una perfetta riproduzione della villa dei Papiri di Pompei nel cuore della California, concepita come ambigua sinfonia di contrapposizioni tra vero e falso, copia e originale, kitsch e splendore, classicità e contemporaneità.
Un ideale punto di incontro tra Hollywood e Cinecittà, all’interno del fil rouge che collega Fellini con Canova, Canova con Bernini, Bernini con Michelangelo, e Michelangelo con Fidia e Prassitele. Vezzoli si inserisce volutamente in questo circolo luminoso con il suo “neo-neoclassicismo” (una felice definizione di Donatien Grau) , che affonda le radici in quella capacità di raccontare la decadenza del potere che va dal Gattopardo di Lampedusa all’Innocente di Visconti: una vocazione che il mondo riconosce in primis a noi italiani, in quanto eredi di un impero annegato in una dissoluzione esteticamente perfetta. Ed è proprio quel disfacimento il territorio magico scelto da Vezzoli, il cantore sublime delle dive al tramonto, degli imperatori corrotti, delle star in rovina: un territorio protagonista della mostra, curata con passione, tenacia e professionalità da Anna Mattirolo, negli stessi giorni in cui Paolo Sorrentino presenta a Cannes La Grande Bellezza e un altro artista italiano, Rudolf Stingel, ha rivestito di tappeti orientali due piani di palazzo Grassi.
Se il displacement di Stingel evoca l’anima bizantina di Venezia, dove inserisce i suoi fantasmatici monocromi argentati come ectoplasmi contemporanei, Vezzoli va più a fondo, per misurarsi su temi ambigui e difficili come il rapporto con l’antico, l’artigianato, la dimensione profetica e tragica dei film di Pasolini, e ci invita a interrogarci sul rapporto che ognuno di noi ha con il successo, il divismo e i media. Argomenti sui quali noi italiani siamo sensibili e mai totalmente chiari con noi stessi, abituati alle esibizioni di ego ipertrofici, che rischiano di sprofondare ogni istante nel baratro del fallimento.
Un confronto con la vanità : questo è l’invito che Vezzoli propone al pubblico, con una mostra che interpreta in maniera perfetta gli spazi del Maxxi, creando un “museo nel museo” dove video e sculture, arazzi e ricami, manifesti e dipinti, fotografie e installazioni si trasformano in un sofisticato teatro sospeso tra passato e presente, dove ogni opera ci invita a riflettere, con una sorta di ironia tagliente e spietata, sulle contraddizioni del nostro tempo e, perché no, di noi stessi.
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Ma nei pezzi di pratesi c'è sempre la tragedia, la decadenza, la tristezza, la critica inferocita e mai serena alle porte?
Mamma mia che depressione!
il trionfo del cattivo gusto..., un esempio evidente di chi si muove nel contemporaneo ma ha una visione conservatrice ed anche bigotta. Testori avrebbe amato Vezzoli e la sua nostalgia Julius Evoliana. Comunque credo che si sia raggiunto il massimo della decadenza in questo segmento dell'arte. Tanto altro e' a livelli interessanti in termini di appropriazione e citazione. Si guarda di piu' a Vito Acconci che a Carlo Maria Marian. Vezzoli conosci Carlo Maria Mariani????
Caro Ludovico,
Ho letto pochi giorni fa il tuo pezzo su Sorrentino ed eccoti qui a scrivere proprio di Vezzoli...avrei voluto scriverti, mia faceva tenerezza la difesa dell'arte contemporanea e avrei proprio voluto citarti la mostra di Francesco al maxxi, con tutto lo "star system de noartri" lì intorno a celebrarlo...la decadenza... è quella esattamente descritta da Sorrentino. Non credi.
La decadenza però Ludovico è un processo necessario alla rigenerazione, per cui ben venga, ma perolmeno non facciamo finta che non ci sia.
Giovanni