Sospeso ma denso | Ecco il cinema surreale di Von Wedemeyer

di - 28 Settembre 2013
Clemens Von Wedemeyer ha realizzato mostre nei musei più importanti, ogni volta regalando forti emozioni. Il suo medium è il video, e quando non essenzialmente il video comunque l’immagine in movimento. Una delle sue caratteristiche è quella di avere una logica narrativa molto lontana da quella tradizionale, stravolgendo totalmente i meccanismi cinematografici in maniera originale, non trascurando citazioni eccellenti, come Beckett, Lang,Tarkovskij.
Conosco Clemens sin dal 2008, quando venne nello spazio non profit 26cc, all’epoca attivo, dove con alcuni artisti e curatori provavamo a cambiare le cose a Roma. Lo invitammo perché avevamo in corso una mostra sulla narrazione, e volevamo fare alcuni talk con artisti che usassero il tema della narrazione in maniera originale e straordinaria. Non conoscevo bene il suo lavoro, ma durante il talk le sue parole, e ancora di più le immagini dei suoi lavori mi colpirono. Da allora ho sempre seguito la sua carriera, lui artista molto bravo ma molto lontano dallo star system dell’arte: schivo, timido, con gli occhi bassi, eppure con un lavoro di grande forse espressiva.
Sospesi tra la finzione e la realtà, le azioni da lui disegnate sembrano quasi attendere una fine che tarda ad arrivare; non si limita poi alla realizzazione del film, ma spesso lo accompagna da un making off, un dietro le quinte che nel suo caso diventa un lavoro nel lavoro. Nulla è più chiaro, e le realtà parallele del film e del making off continuamente si sovrappongono, creando disorientamento e confusione mentale. I silenzi, i rumori di sottofondo entrano di diritto nella logica di un audio al di fuori del comune.
Clemens von Wedemeyer lavora quasi sempre sul luogo dove è invitato, e studia in maniera quasi ossessiva la storia, fagocita libri per capire quale può essere il particolare sul quale posare l’occhio. Lo scorso anno a Documenta aveva presentato un film costituito da tre storie –Muster (Rushes) si intitolava- ambientate nel monastero benedettino di Breitenau, vicino Kassel. Tre storie attraverso le quali indagava il luogo, la sua storia, e i cambiamenti avvenuti. Il monastero, infatti, nel tempo era stato una prigione femminile, un campo di concentramento e una clinica psichiatrica. Lo stesso ha fatto per il progetto realizzato per il Maxxi, a cura di Giulia Ferracci, pensando ed elaborando un progetto che avesse in Roma la sua ispirazione maggiore. La mostra, con tre lavori progettati per la galleria 5 del museo, quella con la zona aggettante per capirci, si intitola The cast, alludendo ai diversi significati della parola nella lingua inglese. La complessità del lavoro dell’artista tedesco si rivela subito, sia per ciò che è presente in mostra, per i temi trattati e per l’allestimento della mostra stessa. Che è davvero molto bella; con un’animazione 3D, una videoinstallazione proiettata lungo il pavimento vetrato trasformato per l’occasione nell’asse di scorrimento di un film, un lavoro video a cavallo tra documentario e cinema di finzione, e poi una sala con due sculture.Complessa dicevamo, perché tutti questi lavori si compenetrano, e fanno parte di una stessa grammatica propria dell’artista, che parte dalla memoria per arrivare ad una idea di contemporaneo, rivolto spesso al futuro.
Nel 3D, dal titolo Afterimage, Clemens riprende lo storico laboratorio di scultura Cinears della famiglia De Angelis, che per quattro generazioni ha realizzato i materiali di scena dei film più importanti girati a Cinecittà. Le immagini trasportano lo spettatore in queste sale piene di sculture, e la sensazione, dopo un leggero giramento di testa, è simile a quella di una danza leggiadra. Nell’installazione sul pavimento, dal titolo The Beginning: Living Figures Dying l’artista racconta ed analizza il rapporto tra scultura ed attore, grazie ad una serie di immagini prelevate da film del passato di grandi registi, Cocteau, Fellini, Godard. La terza opera, Procession narra un evento realmente accaduto nel 1958 a Cinecittà. Un gruppo di comparse/disoccupati in cerca di lavoro, che avevano pagato per avere assicurati alcuni giorni di ingaggio, vengono mandati via dal set in maniera umiliante. Il racconto, di per sé singolare, è sintetizzato con immagini straordinarie cadenzate nel  racconto  dalla voce di colui che nel 1958 aveva scritto l’articolo sul giornale, da cui è partita la ricerca di Clemens. Il film, in bianco e nero, ci riporta alla memoria qualcosa del passato, ma gli attori che utilizza l’artista sono invece tutti artisti e attivisti del Teatro Valle Occupato. C’è quindi uno spiazzamento anche temporale, e laddove le immagini ci riportano indietro nel tempo la contemporaneità dei volti e degli avvenimenti ci dirigono verso la realtà attuale. Nell’ultima sala infine Remains: The Myth of Deucalion and Pyrrha, due sculture che narrano il mito greco di Eucalione e Pirra.
A corollario della mostra, piccoli oggetti che ne hanno permesso la realizzazione, come la pagina del giornale da cui è stata desunta la storia avvenuta a Cinecittà, calchi di gesso prelevati dagli studi della famiglia De Angelis, e infine i bozzetti per i video.

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