Il progetto intermediale Spores, diretto da Federica Altieri, approda alla sua ultima tappa al Romaeuropa Festival l’8 e il 9 ottobre 2024, presso La Pelanda, Ex Mattatoio di Roma, per due serate all’insegna di arte, tecnologia e sostenibilità. Spores esplora temi chiave come la sostenibilità ambientale e l’evoluzione del rapporto tra pubblico e arte, invitando alla riflessione sulla contemporaneità e sul ruolo della tecnologia nelle arti performative.
La “Sporizzazione”, nuova metodologia creativa che unisce arte e tecnologia, sarà il fulcro di questo appuntamento romano, offrendo un’esperienza performativa rivoluzionaria. Il collettivo di SPORES include artisti come Antonio Rezza, Maria Letizia Gorga, Eugenio Barba, Julia Varley, Valerio Magrelli, Paola Favoino e LOTTA, tutti impegnati a ridefinire il concetto di creatività nelle arti performative.
Federica Altieri, coordinatrice anarchica del progetto Spores, e Flavia Mastrella, creatrice di habitat immersivi, uniscono le loro visioni per un’esperienza artistica e sensoriale unica. Per Flavia Mastrella «Spores è un progetto spregiudicato e lavorare con Federica Altieri è stato divertente. Ci siamo trovate. Sono stata chiamata da Federica per fare questo esperimento di realtà immersiva e l’ho trovato davvero stimolante».
Ma come si gestisce l’anarchia in un progetto con un collettivo di quasi 30 artisti?
FM «L’anarchia non si gestisce: è sinonimo di libertà e uguaglianza, un modo di agire dove ognuno è libero di esprimere la propria individualità in un contesto di diversità condivisa. Questo spirito permea il progetto Spores, dove l’unione tra più artisti contribuisce a un’arte che va contro l’individualismo e la chiusura, promuovendo una forma di resistenza culturale in un panorama sempre più opprimente».
Dagli habitat che Antonio Rezza abita nelle vostre performance, alla Pelanda, un ex mattatoio, trasformato in spazio espositivo. Che esperienza è stata?
«La sfida è stata quella di stabilire le atmosfere e i luoghi. Ho progettato l’ambiente come avevo fatto con Antonio per Amistade, usando il mapping. È stato un lavoro di ricerca interessante, perché il mapping è una buona forma di comunicazione. Per Spores ho progettato l’allestimento, i costumi e un ambiente virtuale immersivo, utilizzando la tecnologia 360° per creare paesaggi artificiali e offrire allo spettatore un’esperienza sensoriale coinvolgente. Ho voluto dare l’impressione di essere immersi in una natura artificiale, fondendo realtà e virtualità. Sarà un’immersione particolare. Da un paio d’anni sto lavorando su questi paesaggi virtuali creati con una fotocamera a 360 gradi ottenendo una specie di astrazione. Mi piace molto l’astrazione, e qui siamo a un livello allucinatorio, ed è bellissimo.
La Pelanda rappresenta una sfida creativa, perché abbiamo trasformato uno spazio carico di storia e violenza in un luogo di arte e innovazione. È uno spazio difficile, con corridoi stretti e una disposizione non sempre agevole. Ma ho cercato di rispettare il luogo, pur aggiungendo una mia impronta con l’illuminazione e la creazione di atmosfere particolari».
Come ti sei trovata a lavorare in un contesto così collettivo?
«Il lavoro collettivo ha sempre caratterizzato il mio approccio creativo. Anche quando sembra che sia solo io dietro a un lavoro, in realtà collaboro sempre con molte persone, artigiani, tecnici, altri artisti. Detesto lavorare da sola e ho sempre apprezzato il valore della collaborazione, fin dai miei inizi nei cantieri. Il mio è un lavoro artistico. Io progetto le mie forme, poi mi affido agli artigiani per realizzarle. Anche se oggi è difficile trovarli, rimangono una categoria speciale, come gli attrezzisti o i macchinisti nei teatri. È un ambiente molto stimolante, dove c’è uno scambio continuo sulla materia».
Cosa significa per te sporizzazione?
«Significa continuare a lavorare nella direzione dell’immagine e della visione. Con questo progetto ho trovato una sintonia, perché è un punto fermo in un momento in cui il teatro e il cinema sembrano rallentare, quasi bloccarsi. Il nostro lavoro, quello mio e di Antonio, si è affermato nel tempo, ma ci è voluto molto. Abbiamo resistito e lottato per anni, e ora, con Spores, vogliamo continuare a portare avanti questo messaggio di libertà e collettività».
Per creare Spores, Flavia Mastrella ha lavorato, in maniera anarchica, con Federica Altieri, l’ideatrice del progetto. Sua l’idea di affidarle la trasformazione dello spazio della Pelanda.
Come avete lavorato, tu e Flavia, in un luogo simile?
FA «La collaborazione con Flavia Mastrella è stata straordinaria, condividendo subito l’obiettivo di creare un progetto innovativo e immersivo, capace di trasformare lo spazio della Pelanda in un’esperienza artistica totale. Non ci siamo limitate a utilizzare una parte dello spazio, ma abbiamo trasformato l’intera Pelanda. Avevamo una visione ambiziosa, nonostante i limiti di budget, e volevamo che il pubblico fosse immerso in un’esperienza sensoriale completa. La collaborazione con Flavia ha permesso di creare un ambiente che stimolasse il dialogo tra le diverse arti e che facesse vivere allo spettatore un’esperienza di forte impatto emotivo.
Il mio approccio anarchico all’arte, ha consentito a tutti gli artisti, non solo a Flavia, di esprimersi in piena libertà. A Romaeuropa, lo spettacolo inizia già dal bar e dalla biglietteria, con performance che costringono il pubblico a ricalibrare costantemente il proprio modo di percepire l’arte. È un processo che cambia a seconda del luogo e dell’energia del pubblico. Il pubblico è obbligato a riflettere stando dentro lo spettacolo: non più semplice spettatore, ma immerso in questo grande calderone felliniano che cambia ogni tappa. Fare uno spettacolo a Roma e farlo a Tirana non è la stessa cosa».
Come entra Heisenberg in questo modo di performare?
«Basarci sugli studi della quantistica, significa avere la capacità di creare delle energie ogni volta diverse e anche avere una relatività del tempo dello spettacolo: a Copenaghen è durato un’ora, ad Holstebro due ore e mezza, a seconda di come il pubblico interagisce con gli artisti. Dipende tutto dall’energia e dal sistema di relazioni che si creano: ogni volta uniche e irripetibili».
Perché Spores arriverà a coinvolgere anche l’Africa?
«La seconda edizione di Spores si sposterà verso l’Africa, perché ho capito che bisogna andare alla ricerca di qualcosa che noi abbiamo totalmente perduto. Spores ha girato l’Italia e il nord Europa, soprattutto Germania, Francia e Danimarca e poi l’Albania. Ma sono tutti Paesi dove stiamo perdendo le relazioni. Già in questa fase romana del Roma Europa Festival, sono stati inseriti artisti africani, senegalesi, perché avevo bisogno del corpo e della sua energia, non ancora pura, ma sicuramente depurata da quelli che sono i concetti occidentali».
Se dovessi identificare un elemento da cui scaturisce questa forma di resistenza creativa anarchica?
«L’entusiasmo. Insieme a Flavia Mastrella, Daniele Torracca e Gioia Perpetua, abbiamo trasformato l’intera Pelanda, creando con passione uno spazio di arte immersiva che rappresenta l’essenza di Spores. L’entusiasmo oggi è raro, ma noi lo coltiviamo. Siamo quattro pazzi che credono davvero che qualcosa possa cambiare, e con Spores vogliamo continuare a portare avanti questo messaggio di libertà e collettività. Questa costruzione straordinaria è stata resa possibile dall’entusiasmo di tutto il collettivo. Entusiasmarsi di quello che si fa, raccontare quello che accade e cercare di trasformarlo con un forte entusiasmo e con una folle convinzione che qualcosa possa cambiare: questo è ciò ha unito me e Flavia in maniera profonda».
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