Pleiadi. Momenti diffusi di ascolto è il progetto in tre momenti nato in seno a INBTWN – In Between, la rassegna curata da Claudia D’Alonzo per Centrale Fies, dedicata al rapporto tra corpi e tecnologie. Per questa edizione, D’Alonzo ha coinvolto Standards, collettivo che concentra la propria ricerca sulle pratiche sonore e di ascolto. Ne parlavamo già in questo articolo. Nel video in anteprima per exibart, un frammento ulteriore di una storia che si compone a sua volta di singole esperienze personali e relazioni tutte diverse con lo spazio della centrale.
Da questa esperienza è nato un archivio digitale, fruibile online fino al 7 marzo 2022 a questo link. Un’occasione per conoscere e riconoscere la centrale, a partire da una prospettiva inedita. Un esercizio di ascolto che annulla le gerarchie tra suoni, per percepire l’ambiente a partire da nuovi approcci.
Abbiamo intervistato la curatrice, Claudia D’Alonzo e Gaia Martino, parte di Standards. Oltre a rispondere alle nostre domande, le due hanno aggiunto alcune tracce di Pleaidi che accompagnano le loro parole, legandole a doppio filo . Per un’intervista tutta da leggere, ma anche ascoltare.
La scelta di puntare sull’ascolto propone un modo alternativo di fruire lo spazio, un esercizio alla percezione inedita dei luoghi. Che tipo di esperienza è stata per voi?
GAIA: Per noi di Standars non è una novità. Da subito il nostro progetto si è concentrato sulle arti sonore e sulla dimensione dell’ascolto: è il nostro modo di entrare dentro la realtà. Il progetto collettivo è formato da persone con esperienze eterogenee: artistз, musicistз, promotorз culturalз, sound designer, curatorз, … Il denominatore comune è proprio l’attenzione al suono.
A Centrale Fies ci è stato chiesto di interagire con lo spazio. E lo spazio non è esclusivamente quello architettonico. Noi lo intendiamo anche come l’insieme delle persone, delle esperienze pregresse, dei posizionamenti di ascolto. Non esiste un’esperienza unica in questo senso, ma tanti suoni, tanti ascolti, tante esperienze quante sono le persone presenti. D’altronde lo spazio non è una configurazione stabile di posizioni, ma può essere una molteplicità eterogenea di storie, costantemente in costruzione.
L’archivio digitale si articola intorno a dei nuclei tematici. Quali? Qual è il filo rosso steso lungo tutto il progetto?
CLAUDIA: Prima ancora di registrare, avevamo in mente di proporre il progetto online. È stato interessante ragionare su come organizzare la componente visiva di un lavoro principalmente sonoro. Parte di questa struttura è nata confrontandoci con Lucrezia Di Carne, artista che collabora stabilmente con Fies, all’interno dell’Ufficio Comunicazione. L’idea è stata quella di racchiudere le varie tracce in un corpo unico, che fosse in grado di restituire la complessità del processo. Durante le conversazioni sono emersi temi ricorrenti, che non erano stati stabiliti a priori: riflessioni sulla temporalità, le memorie e i luoghi “segreti”, le fragilità e le paure. Ci sono delle parti più narrative, che raccontano la storia della Centrale, come anche momenti più surreali.
Un aspetto che è emerso fortemente è la relazione tra l’architettura della centrale e il paesaggio cha la circonda: sono due corpi totalmente compenetrati, in una relazione costante tra spazi interni ed esterni. Nelle registrazioni si percepisce molto bene questo passaggio tra ambienti al chiuso e all’aperto, entrambi percepiti come parti di Fies.
Questa è la peculiarità della Centrale: la sua presenza nel paesaggio è ingombrante, ma allo stesso tempo è organicamente parte di un tutto. Con Gaia, ci siamo interrogate se fosse il caso di dare ordine a questi temi, ma abbiamo preferito che fosse l’ascoltatorǝ a rintracciarli, e magari a trovarne di altri che non abbiamo evidenziato. Ha preso forma così l’idea di una restituzione rizomatica, che fa perdere le coordinate all’interno del sito.
C’è grande attenzione per l’idea di corpo, per la presenza fisica che esplora lo spazio, vede, tocca, sente. Come restituire un concetto così concreto come la corporeità in un progetto online, che si traduce in un’assenza fisica?
CLAUDIA: Questo è un tema centrale di INBTWN, e ragione dell’incontro tra la mia pratica curatoriale e il lavoro di Fies. Abbiamo lavorato su come alcune tecnologie possano agire su proprietà già presenti nel corpo, espandendole. Il corpo, infatti, genera più dimensioni dello spazio. Da qui il coinvolgimento di Standards, per leggere l’ambiente della Centrale a partire dall’ascolto.
Nelle tracce si prende consapevolezza di come i corpi interagiscano tra loro, delle densità di spazio tra questi nel momento della registrazione. Non è una raccolta di audio documentali, ma qualcosa di più: la dimensione generativa dello spazio attraverso il suono. Abbiamo cercato di riportare tutto questo all’interno del sito.
L’uso della rete rispetto alle pratiche sonore rompe la rigidità disciplinante degli schermi, della frontalità e propone un’ulteriore esperienza che permette di proiettarsi nello spazio di Fies. Il suono è un vettore che non limita i corpi, ma li espande attraverso l’ascolto. Anche per questo il sito ha una struttura non lineare ma caotica, aperta, che invita chi naviga a trovare un proprio percorso, a decifrare in modo instabile i suoni, immaginare gli ambienti che emergono in modo parziale e instabile, riconoscere le voci o forse no. L’intento è stato di evocare più che raccontare o descrivere.
Il rovescio della medaglia è ragionare sul fatto che per molto tempo la Centrale, come tutti gli altri luoghi della cultura, non ha potuto ospitare nessun corpo, a causa della condizione pandemica. Come è cambiata la percezione del luogo in questi ultimi anni?
GAIA: Fies è uno spazio ampio, che durante il lockdown è rimasto vuoto, inaccessibile sia per il pubblico che per la comunità interna. Se vuoi, questo ha creato un collegamento con la storia dello spazio: una struttura enorme, prima abbandonata dalle persone e poi recuperata. Nel corso delle registrazioni, è emerso più volte il tema della pandemia. Da una parte è venuto fuori il senso di smarrimento causato dagli ultimi anni, ma abbiamo riscontrato anche un elemento positivo: la riscoperta del luogo, una volta che si è tornatз ad abitarlo. Le persone ci conducevano in spazi non particolarmente significativi di per sé, ma che ora assumevano un valore nuovo, come possibilità alternative di relazione con l’ambiente.
CLAUDIA: Prima della fase di registrazione Standards ha condotto una giornata di workshop con tutte le persone che avremmo coinvolto nel progetto. Non lo abbiamo raccontato spesso, ma in quella fase lì c’è stato un momento intimo di condivisione tra lavoratorз culturali rispetto al vissuto degli ultimi due anni. Questa fase iniziale non è confluita nella registrazione, ma è stata comunque essenziale: ha permesso di connetterci, di costituire la comunità che ha dato vita al progetto.
Come viene anticipato nel video, il progetto ragiona nell’ottica dell’insieme dei corpi, i quali compongono le comunità che popolano i luoghi. Uno spazio a sé nel progetto è riservato proprio alla comunità di operatori e operatrici della Centrale, e come vivono il loro rapporto con questo spazio, conosciuto da tempo. Come è stato per loro cimentarsi in questa esperienza?
GAIA: Ti racconto qualcosa del workshop iniziale, dove abbiamo presentato allз operatorз di FIES il dispositivo che avremmo utilizzato per la raccolta dei materiali: un microfono omnidirezionale e una cuffia in grado di restituire immediatamente anche i suoni più sottili, amplificandoli. Ci siamo rivoltз al gruppo, il quale non aveva mai visto la tecnologia che stavamo adottando, ma conosceva molto bene il posto in cui l’abbiamo messa all’opera. Viceversa, noi avevamo dimestichezza con quel dispositivo di registrazione, ma poca familiarità con il luogo. Insieme abbiamo costruito una immagine sonora condivisa dello spazio.
Nella Sala Comando – uno degli ambienti principali che compongono Fies – ciascuno a turno indossava le cuffie e il gruppo in modo spontaneo eseguiva dei movimenti, dei rumori, interagendo con lo spazio e gli oggetti. Tutti quei suoni erano amplificati in cuffia, per un’esperienza sensoriale inattesa. Le persone si prendevano cura dell’ascoltatorǝ di turno. Ciò ci ha permesso di costruire una vera e propria comunità, a partire da questo legame.
CLAUDIA: Nemmeno io avevo utilizzato i dispositivi proposti da Standard prima di allora, ed è stato come immergersi in una specie di iperrealtà data dal suono, di accadimenti e di qualità dello spazio che di solito non percepisco. È stato un esercizio di attenzione.
Finché non si indossavano le cuffie, continuavamo a muoverci abitualmente. Una volta fatta quell’esperienza di ascolto amplificato, iniziavamo a spostarci nella sala in modo diverso, più lento e accurato. Per la persona in ascolto, perché sapevamo che un movimento troppo brusco avrebbe potuto produrre suoni assordante in cuffia. Il nostro ascolto ha modificato il movimento dei corpi nello spazio e viceversa. All’inizio la situazione era caotica. Poi senza organizzazione predefinita, i nostri corpi si sono armonizzati in una specie di danza silenziosa.
È interessante notare che nonostante si possano ascoltare le voci e i racconti delle persone, il progetto non è da intendersi come una raccolta di interviste in senso stretto. Le tracce raccolgono tutti gli stimoli acustici, senza fissare un punto univoco o creare delle gerarchie di ascolto.
GAIA: Esatto. L’intervista ruota attorno al contenuto delle parole; le interviste solitamente si servono di microfoni direzionali adatti a registrare il parlato. Noi non avevamo intenzione di intervistare le persone di Fies, abbiamo intrapreso con loro delle traiettorie; ci interessa il mondo sonoro inteso come scambio e relazione, più che le parole come veicolo di significati.
La tecnologia ha permesso a molti abitanti di Fies di scoprire un nuovo punto di accesso alla realtà: il rumore dei passi, i suoni sullo sfondo, le voci che si allontanano. La registrazione ambientale è stata eseguita ogni volta in modo diverso, a seconda delle persone che ci hanno accompagnatз. Per alcune di loro era un’esperienza estraniante, troppo intensa, altre invece hanno subito sentito confidenza con il mezzo e ci hanno giocato. Ce ne siamo resз conto anche dai feedback che ci hanno restituito.
C’è chi dopo la sessione di registrazione si sentiva sollevatз di “tornare alla realtà” e chi ci ha detto: «adesso continuo a sentire un po’ così», con un’attenzione diversa, amplificata, dell’ambiente, in cui niente è secondario. Lo strumento ha aperto a una modalità di conoscenza che poi rimane addosso a chi ne ha fatto esperienza, anche alla fine del processo.
Come si sviluppa un progetto del genere? Le tracce definitive immaginiamo essere frutto di ore e ore di registrazione, e di un gran lavoro tecnico di selezione e montaggio. Potete raccontarci di più?
GAIA: Il lavoro è iniziato con Claudia, per valutare insieme quali sarebbero stati gli output. Quindi abbiamo coinvolto la comunità di Fies. Inizialmente per un sopralluogo in ottobre, dove si è tenuto il laboratorio introduttivo. Poi abbiamo invitato ciascuna persona a portarci in giro, registrando mentre esploravamo gli ambienti interni ed esterni della centrale in loro compagnia. Non ci eravamo datз tempi stabiliti: abbiamo collezionato circa tredici ore di girato. Una mole cospicua, che ha reso necessaria una selezione, per non sovrapporre i contenuti e restituire la varietà dei materiali raccolti.
Abbiamo quindi passato la staffetta ad altrз di Standards. Noi che avevamo raccolto i materiali dal vivo eravamo troppo legati alla presa diretta di tutto quel lavoro, ed era necessario operare un certo distacco dai contenuti. La selezione è stata volutamente soggettiva, non volevamo raggiungere un risultato oggettivamente valido ma sviluppare una formula aperta, personale, su cui si potrebbe rilavorare all’infinito.
CLAUDIA: Vale la pena ricordare che questo lavoro si compone di tre parti: l’archivio digitale, una installazione sonora e performativa svolta a dicembre e uno score (partitura) con esercizi di ascolto specifici per alcuni luoghi della centrale. Questi ultimi due risentono moltissimo dell’esperienza di ascolto e registrazione.
L’installazione nasce dalla volontà di restituire la ricerca anche all’interno degli ambienti fisici di centrale. Standards ha scelto lo spazio di Forgia, quello più fortemente vincolato alla sua ex-natura industriale, vicino all’acqua, alle turbine. Qui si è tenuta una performance a ciclo continuo, dove alcune casse all’interno facevano letteralmente suonare gli elementi fisici dell’ambiente, processando insieme il suono dell’acqua.
Lo score (partitura) invece si compone di una serie di esercizi pensati da Standars a partire da alcuni dei suoni e delle azioni che le persone di Fies hanno sperimentato durante le registrazioni. È un sorta di lascito destinato a restare nella centrale, uno strumento per allenare l’ascolto pensato per le persone che frequenteranno in futuro Fies.
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