Ancora una volta le iconiche tazzine illy si sono trasformate in una tela bianca sulla quale a guatemalteca Paula Nicho, il peruviano Rember Yahuarcani López, il colombiano Aycoobo e il collettivo brasiliano Mahku, hanno potuto esprimere la loro creatività, saldamente radicata nelle tradizioni e nella cultura della loro terra.
Nella tazzina mia seconda pelle, Paula Nicho dipinge la fantasia degli abiti, quelli tradizionali, che lei ha indossato subendo discriminazioni. In gli esseri invisibili, la tazzina di Rember Yahuarcani López, sono riprodotte creature nate migliaia di anni fa nei territori dell’Amazzonia. La tazzina di Aycobo, che ricalca l’opera il sogno dello sciamano, rappresenta invece il modo in cui lo sciamano percepisce e sente la natura dal suo essere, connettendosi spiritualmente con le piante e gli animali, che sono i guardiani celesti del territorio, imparando da loro l’antica saggezza che vede ognuno svolgere un ruolo, una funzione condivisa e accettata perché ognuno porta la sua medicina per guarire l’umanità.
Mahku, il Movimento brasiliano degli Artisti dell’etnia Huni Kuin, narra infine il mito di kapewë pukeni secondo cui alcuni uomini dovevano passare dal continente asiatico a quello americano attraverso lo stretto di Bering. Un alligatore si offrì di portarli sulla schiena in cambio di cibo. Lungo il tragitto gli animali disponibili diventavano sempre più scarsi e gli uomini cacciarono un piccolo alligatore, tradendo la fiducia del grande alligatore, che si inabissò nel mare. Da qui ebbe origine la separazione tra popoli e luoghi diversi.
Ne parlaimo con Carlo Bach, Direttore Artistico di illycaffè, che abbiamo raggiunto in occasione della presentazione della nuova illy Art Collection.
«Innanzitutto, vuole intendere che ovunque si vada e ovunque ci si trovi si incontreranno sempre degli stranieri: sono/siamo dappertutto. In secondo luogo, che a prescindere dalla propria ubicazione, nel profondo si è sempre veramente stranieri». Rispetto alla dichiarazione di Adriano Pedrosa circa l’espressione Stranieri Ovunque, come illycaffè, che ha nel tempo costruito un legame privilegiato con l’arte contemporanea, si inserisce questa narrazione?
«É ormai da più di 10 edizioni che siamo a fianco della Biennale Arte di Venezia che consideriamo l’evento mondiale più importante dell’arte contemporanea ed è per questo che ci interessa partecipare e contribuire con le nostre possibilità a questa riflessione che ricorre ogni due anni. Quest’anno questo appuntamento è particolarmente interessante visto che Pedrosa è il primo curatore sudamericano, area geografica per noi molto importante, per ovvie ragioni, e su cui in passato abbiamo lavorato molto anche sulla ricerca artistica come, ad esempio, con l’artista brasiliana Maria Maiolino (leone d’oro alla carriera quest’anno) con cui abbiamo realizzato una tazzina nel 2001. Il tema dello straniero, termine così tanto usato nei nostri tempi, lo trovo molto centrato come filo conduttore per una Biennale, una mostra che indaga il poco conosciuto dal mondo occidentale e dal sistema dell’arte».
Da un punto di vista culturale ma anche sociologico, che valore ha oggi il rito del caffè? E che significato assume, per affinità o differenze rispetto all’Italia, per gli artisti latino-americani scelti?
«Il rito del caffè per me è la possibilità che questa bevanda possiede di favorire il dialogo ed il confronto. Un tempo il “cafè” come luogo era proprio perfetto: non era l’intimità della casa né la formalità del luogo di lavoro e rappresentava una terra di mezzo che anche grazie alla bevanda del caffè favoriva un confronto creativo. La scelta invece degli artisti con cui abbiamo lavorato è stata fatta proprio da Adriano Pedrosa. Quando lavoriamo con la Biennale il nostro scopo non è aggiungere ma amplificare e lui ci teneva molto ad amplificare il messaggio portato da questo gruppo di artisti: la forza delle proprie origini attraverso i tatuaggi intesi come “seconda pelle” di Paula Nicho, i sogni dello sciamano di Aycoobo, gli esseri invisibili di Rember e le leggende del movimento brasiliano Mahku ci portano in un mondo dove la Natura è ancora al centro del mondo ed è il nucleo della riflessione degli artisti coinvolti. Essi sono puri e le loro menti sono in contatto con quello che noi ormai abbiamo dimenticato che è il mistero e la magia dell’ambiente e della propria anima».
Come evolve la volontà di portare la passione e l’arte dell’espresso all’interno del grande mondo dell’arte contemporanea?
«Una tazzina di caffè illy rappresenta l’unione del gusto, della bellezza e della sostenibilità. Una bellezza che negli ultimi 30 anni abbiamo raccontato attraverso il linguaggio dell’arte contemporanea mediante la creazione di progetti artistici, la collaborazione con le più importanti esposizioni d’arte e il sostegno a giovani promesse e grandi maestri. Il progetto più importante è legato proprio alle illy Art Collection che hanno trasformato un oggetto di uso quotidiano in una tela bianca sulla quale, negli anni, hanno espresso la propria creatività più di 130 noti e apprezzati artisti di fama internazionale dando inizio a quella che negli anni si è trasformata in una delle più grandi raccolte d’arte contemporanea esistente al mondo. In questo nostro progetto si incontra la raffinatezza dei maestri dell’arte contemporanea con quella dei maestri della qualità, espressione dell’unione del bello e del buono che caratterizzano il brand illy. Ed è così che la tazzina disegnata da Matteo Thun nei primi anni 90 in 32 anni si è vestita della creatività dei più grandi artisti, contribuendo a diffondere la poetica dei grandi pensatori visivi della nostra contemporaneità e credo ci sia una grande sinergia tra il nostro caffè, i nostri luoghi e la creatività. La bellezza che illycaffè cerca di raggiungere si ispira all’antico concetto greco di kalokagathìa, che unisce kalòs (ciò che è bello) e agathòs (ciò che è buono) per creare un nuovo significato in cui bellezza e bontà si uniscono e dipendono l’una dall’altra.
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