Studiare da curatori al De Appel

di - 6 Agosto 2015
Sono sei i giovani curatori scelti ogni anno per il Programma curatoriale presso il de Appel arts center di Amsterdam, iniziato da Saskia Bos nell’ormai lontano 1994. Il Centro, sin dalla sua fondazione nel 1974 ad opera di Wies Smals, ha detenuto un ruolo chiave a livello internazionale nella ricerca e nella presentazione di pratiche all’avanguardia, sia per quanto riguarda gli artisti sia per le modalità di display. In particolare la sua nascita si lega alla performance, un medium che in quel periodo godeva di uno scarso riconoscimento istituzionale. Artisti leggendari come Marina Abramovic, Laurie Anderson, Chris Burden, Vito Acconci, James Lee Byars, Wim T. Schippers, Dan Graham e Carolee Schneeman hanno mostrato il loro lavoro presso il centro (“Role exchange” di Marina Abramovic si colloca nel 1976, “Fototot” di Ulay nello stesso anno).
I giovani curatori selezionati ogni anno su scala internazionale vivono un periodo intensivo nella capitale olandese a fianco di esperti che detengono un ruolo chiave nel mondo dell’arte. Tra i tutor (artisti, curatori, direttori di gallerie ed istituzioni, critici d’arte etc) si collocano i nomi di Floris Alkemade (architetto), Lorenzo Benedetti (Direttore de Appel arts centre), Liesbeth Bik (artista), Charles Esche (direttore Van Abbemuseum, co-curatore Sao Paulo Bienal 2014), Annie Fletcher (curatrice, Van Abbemuseum), Elena Filipovic (Direttrice Kunsthalle Basel), Beatrix Ruf (Direttrice Stedelijk Museum), Henk Slager (dean MaHKU, Utrecht, codirettore Guangzhou Triennial 2015), Lisette Smits (ricercatrice indipendente/curatrice), Jan Verwoert (critico d’arte) e Barbara Visser (artista). Ogni anno la lista dei tutors cambia, di modo da permettere un rinnovamento delle prospettive e delle esperienze (recentemente vi hanno transitato Chus Martinez, Thomas Boutoux). Negli anni moltissimi hanno lasciato la loro traccia presso il centro: Mieke Bal, Paul Chan, Alexander Düttmann, James Elkins, Teresa Gleadowe, Ann Goldstein, Larissa Harris, Pablo Helguera, Sven Lütticken, Adam Kleinman, Leva Misevičiūtė, Gerardo Mosquera, Paul O’Neill, Dieter Roelstraete, Martha Rosler, Nicolaus Schafhausen, Simon Sheikh, Valerie Smith, Hito Steyerl, Hans Ulrich Obrist, Ulay, Alexis Vaillan.
Nei dieci mesi del corso si forniscono, anche tramite esperienze di viaggio (concentrate nella prima parte dell’anno), conoscenze e competenze, utili per migliorare lo sviluppo della carriera professionale dei curatori. Il programma prevede la presenza di workshop, seminari, escursioni ed incontri con direttori di musei, fondazioni ed istituzioni, pubbliche o private, olandesi e non, (tra gli altri: Witte de With, Stedelijk Museum, Casco, Bak, Van Abbe Museum). Numerosissimi sono i contatti con gli artisti, resi possibili da un continuo dialogo con le accademie olandesi e del Belgio (de Ateliers, Sandberg, Rijksakademie, Jan Van Eyck Akademie , Makhu, Hisk, KABK: Royal Academy of Art, L’Aia). In particolare sono centrali nel percorso la storia della creazione delle mostre, lo studio delle diverse pratiche curatoriali, sia da parte dei curatori, che degli artisti e delle istituzioni. L’attuale curatore di documenta, Adam Szymczyk ha ricordato la sua partecipazione definendola come fattore determinante nella sua carriera.

Ogni anno il gruppo presenta un progetto finale, quest’anno sono stati due: “My Time Is Not Your Time” e “Spell to Spelling ** Spelling to Spell”, sul quale ci concentriamo.
“Spell to Spelling ** Spelling to Spell” si scompone e ricompone, emerge negli spazi e si ristruttura nella mente. Curata da due dei partecipanti del programma – Chiara Ianeselli (italiana) e Inga Lāce (lituana) – la mostra gioca linguisticamente tra le diverse sfaccettature della memoria volontaria e involontaria (spesso rimossa) dell’autore e del suo pubblico.
“L’anima non pensa mai senza un’immagine mentale” (De Anima) – Usciti dalla mostra, la prima immagine che si ricorda è quella del contenitore, rifugio e tempio stesso delle immagini. Immagini di storie proposte e riproposte, spirale di temi che gioca sulle nozioni di Spelling e Spell, e che include la produzione e postproduzione di ricordi, The Archive of The Planet da una parte e Lina Bo Bardi dall’altra, bambole dai costumi folk, West Java, identità perse, The Art of Memory, attenzioni sensoriali, app e ombrelloni, Lost in Translation, miscommunication, What can we lose? Displacement e molto altro ancora sono le tracce concettuali in cui si dipana il progetto.

«Mi chiedo come facciano a ricordare le persone che non filmano, che non fotografano, che non registrano, come facesse l’umanità per ricordare», si chiedeva Chris Marker in Sans Soleil. All’ingresso della mostra si presenta un percorso audio-guidato creato dell’artista Francesco Camacho e dalle sue sculture di porcellana. Si tratta di aggiungere informazioni ad un’esperienza già vissuta, o di riscriverla? Camacho lascia scegliere allo spettatore, invitandolo a costruire immagini mnemoniche attraverso il method of loci, tanto caro all’uomo medievale a cui era concesso l’uso dell’immaginazione nella creazione di simboli corporei in supporto alla memoria. Se volete memorizzare qualcosa, connettetelo con qualcosa che sapete, suggerisce l’audio, connettete lo sconosciuto con il conoscere. E non c’è niente che sappiamo meglio delle nostre esperienze.
Tra la memoria naturale e artificiale, il locus è afferrato e l’immaginazione, intermediaria tra percezione e pensiero, ricostruisce quegli oggetti dove la memoria si cela e cristallizza.

What about reality? David Bernstein ci permette di scoprire gli oggetti che abitano gli spazi della libreria del De Appel e le loro storie. Le sue performance, che coinvolgono curatori e pubblico, sono rivelazioni surreali e umoristiche dischiuse in contesti intimi ma al contempo condivisi. Realtà o fiction? Poco importa. Se non è vero, è ben trovato.
Camminando per lo spazio del De Appel, le idee si dispiegano abilmente – tradotte in sculture, in forme di idee. Più si va avanti, o meglio più si va indietro, e più l’immagine risulta alterata, distorta, offuscata. Si vede Christian Fogarolli accostare fotografie di archivio di uomini senza memoria con statue indonesiane disperse, dimenticate, provenienti dalla collezione dei musei etnografici di Leida e Amsterdam; mentre Martin La Roche si serve del dimenticato per dare conferma di un’esistenza. Ola Lanko collega in un’installazione identità scomposte del marketing; mentre Alberto De Michele si serve del marketing per giocare con l’essenza dell’invisibilità.
Quasi tutti i lavori sono commissionati appositamente per la mostra, ma non solo, “Spell to Spelling ** Spelling to Spell” ha incluso un fitto programma di performance, eventi al Stedelijk Museum come A Day in the Life of Thomas, workshop e screening.
Francesca Verga

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