«L’arte è l’arte. Lo diceva anche Carrà», diceva Rino Carrara, artista attento ai fatti dell’arte che visse gli anni d’oro della Milano del dopoguerra. Una selezione di opere dell’artista, dal 1957 al 2004, è presentata dalla Galleria Elleni di Bergamo e accompagnata dalla curatela di Elsa Barbieri all’interno di Bergamo Arte Fiera.
Assiduo frequentatore del mitico bar Giamaica, dove si incontrava, e conversava e discuteva, con Fontana, Birolli, Castellani e tanti altri, Rino Carrara è popolarmente definito “L’artista del filo”. Seppur ottimo interprete della pittura Informale, egli andò oltre iniziando sul finire degli anni Sessanta a intessere fili su tele dalle grandi campiture monocrome proiettandovi pulsioni, emozioni e pensieri con un rigore sempre molto raffinato, puro e colto.
Non sottraendosi mai al fascino della plasticità delle forme, Carrara creava con i fili trame di percorsi misteriosi e suggestivi, veri e paesaggi interiori. Non dunque con il pennello e la tavolozza, né con la figurazione tradizionale. Ma con il filo, e con il ritmo, egli – che sempre amò definirsi pittore – esprimeva il suo sguardo più intimo.
Tutto nasce dalla sua testa, come se ogni filo fosse traccia di una musica, quella del pensiero. È così che bianche, rosse, blu e nere, le tele assomigliano a spartiti in cui il ritmo è cadenzato in forma del tutto originale e spontanea dalla produzione stessa. Carrara definì in un certo senso una dimensione di suoni tutti suoi, diversi, entro i quali passavano melodia, note profonde ed acute dando forma a una tessitura particolarmente estesa, estranea da ogni definizione di genere, all’interno della quale la natura – intesa come difesa dell’uomo dalla società odierna – aveva un posto privilegiato. Carrara andava cercando di recuperarla nella sua manifestazione di fare manuale, contrapponendola allora, all’avvento minaccioso del mezzo meccanico per fare arte.
Cosa vi è oggi più attuale della Fiber Art? Poco, forse niente. Dinnanzi a opere in tessuto rosso su rosso, blu su blu, nero su nero, bianco su bianco, non immaginiamo di collocarle così in decenni passati. Eppure erano gli anni Novanta quelli in cui Gillo Dorfles scriveva «… la rigorosa intelaiatura (armatura si potrebbe dire) nuovo medium per realizzare piccole grandi (persino vastissime) superfici in un alternarsi, embricarsi, contrapporsi di ulteriore momenti cuciti, in una sorta di nuove tessiture…». Oggi conosciuta anche come Textile Art, Fiber Work, Art Fabric, Nouvelle Tapisserie e Soft Sculpture, essa ammette un approccio di ricerca molto variegato. Qui ci troviamo di fronte a un esempio di manualità concreta, spoglia di qualsiasi medium pittorico.
Di Rino Carrara esistono gli “Intessuti”, i “Mossi”, i “Labirinti”: in tutti il suo occhio ha sempre colto ma anche svelato gli aspetti più inquieti ma anche di più assoluta bellezza di ciò che si frappone tra il sé e l’universo, verso cui tendiamo a elevarci. Come i fili, che corrono verticalmente. Incondizionati e puri.
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