Si che Genova è a pochi chilometri da Albisola, dove la ceramica è un’istituzione. Ma pur in questo contesto socio-territoriale, o qui particolarmente, intavolare un discorso “al presente” su quella forma d’arte – perciò non pensando, ad esempio, ai trascorsi di Fontana o Leoncillo – può comportare – almeno in chi l’arte contemporanea la mastica e non la sputa – una reazione simile a quella di Ugo Fantozzi davanti all’ennesima proiezione della corazzata Potëmkin. Disapprovazione, chiamiamola così, e noia quanto basta al cospetto di manufatti dal minimo appeal critico-espressivo, gradevoli esteticamente e altre volte portati a sconfinare nel cattivo gusto più indicibile. E con ciò non s’intende screditare i validissimi operatori del settore, piuttosto svelare il segreto di Pulcinella: quest’arte nel tempo s’è resa sempre più “applicata” ad una nicchia estetizzante, e meno “indipendente” sul piano significativo. E non si vuole nemmeno infierire, anzi sì , mettendo in mezzo la vetero-museologia delle file e file di vasi e vasetti d’epoca, che ha contribuito a far della ceramica un’arte bistrattata. Minando l’orgoglio artistico di un’intera categoria, impotente in questo caso.
Quanto può essere folle Alessandro Roma, pittore di default, che sceglie di creare la sua personale a Villa Croce puntando tutto sulla ceramica? Non poco, sicuramente abbastanza per piacere senza essere piacione e ruffiano, dato che i dodici pezzi creati per la mostra Swamp (fino all’otto gennaio) non sono da amore a prima vista. Al contrario, chiedono di essere metabolizzati lentamente come la personale nel complesso, che non è affatto immediata; soft, come il canto delle cicale di pianura in sottofondo, lascia trapelare la personalità di un artista visivo a cui più dello sconfinamento nella scultura interessa creare una pittura a tutto tondo, giocandosi la possibilità di applicare i canoni della pittura a tutt’altro medium.
Swamp, in italiano “palude”. Una palude di “pittura applicata”, situazione artistica che si verifica quando dipingere costituisce un’attitudine impossibile da nascondere. La sua personale non mente, Roma non è e non sarà mai ceramista. È pittore quantunque e comunque, non lo diciamo noi o lui, ma quelle dodici ceramiche che conservano tutto il valore di un imprinting artistico. E non serve nemmeno uno sguardo esageratamente critico o “allenato” per rendersene conto, è importante indirizzarsi bene sulle forme fitomorfe concepite con attenzione, risolte con l’inseguirsi costante di texture dagli effetti più disparati; sui colori stesi con amore incondizionato verso la pennellata e integrati nel lavoro da protagonisti. Tecnica di uno che è pittore “inside”.
Swamp quindi non può essere considerata nemmeno una personale di scultura in senso comune, e forse è proprio Roma a non potersi/volersi considerare realmente scultore. È la personale di chi usa l’intervento plastico come dottrina della finzione. Fingere la tela, simulare l’atto di arrotolarla per ottenere anche in pittura una tridimensionalità più effettiva che d’effetto. Alla scultura Roma impone infatti d’interpretare mimeticamente un pensiero pittorico, maneggiando la terracotta con l’estro bipolare dell’artista deciso a darle tanto significato plastico, quanto l’afflato pittorico del suo campire tipicamente gesto-cromatico. Orbitare attorno è l’azione richiesta quando non esiste un punto di vista univoco, e i grafismi astratto-fitomorfi – da oscar soprattutto quando impregnati di colori opaco-metallescenti – producono una narrazione circolare stile Colonna Traiana small size. Monumento che si trova a Roma, curioso nomen omen per un lombardo dall’impulsività spinta fino a creare come un’iconica e quasi fedele riproduzione del Colosseo, comprensiva – elemento che fa la differenza – del taglio sbieco dato dal restauro ottocentesco di Raffaele Stern. Astrattamente, naturalisticamente e anche architettonicamente l’artista tira fuori dal nulla i suoi piccoli tronchi ricchi di elementi astrusi, dove un balcone può ospitare la realtà vegetale di una piantina di rosmarino.
Pittorico è il modo di rivolgersi alla materia equiparandola alle stoffe dipinte con i medesimi motivi, come l’accanirsi con tagli, buchi e sbalzi sapidamente compulsivi, scegliendo poi di aumentare i volumi adottando l’uso sottile della pennellata su superfici già rese plasticamente scabre. A costo di risultare ripetitivi insistiamo su questa peculiarità artistica, poiché in grado di cambiare le carte in tavola se non tacitamente espressa. Ovvero quando Roma si distacca da sé, quando non è pienamente Roma, e precipita senza protezioni su forme vascolari piuttosto rigide, smalti lucidi poco caratterizzanti ed incisioni curve dettate da un marcato manierismo di genere; e si torna sistematicamente a bomba, a quella piattezza “fisiologica” della ceramica contemporanea che non rappresenta il lavoro dell’artista.
Ma a Villa Croce Roma è il piccolo chimico che si è messo in testa di trovare un perfetto equilibrio tecnico-sensibile tra lavori ed esigenze espositive, artificio e natura, costruzione e ricostruzione; non sperimenta reazioni esplosive, bensì propende per un coinvolgimento avvolgente, anche nei basamenti in pannelli di truciolato dalle forme irregolari, non meno valevoli assieme agli elementi effettivamente vegetali (raccolti nel parco della Villa) buttati lì con una casualità che ne conserva la naturalezza. E con Swamp canta vittoria.
Andrea Rossetti