THAI TAZZI

di - 19 Giugno 2008
In che modo artisti di diversa nazionalità e religione si sono confrontati con la cultura buddista?
Più che mettere in opera un confronto con la cultura buddista nella sua versione thai, gli artisti hanno risposto alla mia sollecitazione di misurarsi con l’esperienza che si può avere entrando in un tempio dove la vita quotidiana diventa immediatamente percepibile: sia attraverso la presenza delle offerte, dal cibo ai detersivi, sia attraverso quelle forme di proiezione dell’immaginario che si manifestano nelle rappresentazioni mitologiche e nelle decorazioni simboliche, assiepate in composizioni intricate e stratificate nel tempo, e nel costante confronto con le varie manifestazioni figurali del Buddha e con la sua statua, che non è rappresentazione di una divinità ma indicazione di una strada verso la verità dell’essere.

E nel concreto, come hanno risposto gli artisti?
Ciascuno lo ha fatto secondo le modalità che caratterizzano il proprio lavoro artistico. I disegni di Shawky riflettono non solo un circostante ma anche portano in emersione sulla pagina di iscrizione, sulla pagina bianca, quanto la sua esperienza quotidiana ha stimolato. I dittici fotografici di Takuma danno conto della sua relazione con il mondo, insieme circostante e senza tempo. Takuma ha perso la memoria più di trenta anni fa e vive in una dimensione assolutamente atemporale e la macchina fotografica è il suo unico legame con il mondo. Il progetto di Becheri si fonda sull’aver affidato a distanza a persone lontane dal mondo dell’arte, come i sei isan coinvolti in questo caso, la fattura di altrettante sculture. Shimabuku ripropone un suo video, Fish and Chips, in una versione inedita realizzata per l’occasione e in situ, che costituisce il fulcro di un’installazione che abbraccia sia l’interno (il vuoto dello spazio d’arte) che l’esterno (il pieno dello spazio urbano) e che include un oggetto trovato nel percorrere la città, Message. Rivalta disegna su una parete, in uno stretto corridoio, un grande elefante individuato in una farm fuori Bangkok e in cima alle scale di accesso un cane di strada, ambedue sprofondando nei limiti dell’architettura. Arabeschi di latte con Arabeschi thai (in the kitchen) accolgono il pubblico il giorno dell’inaugurazione. Huang in tre video esplicita il suo caratteristico modus operandi a partire da oggetti di scarto nell’uso quotidiano. A tutto questo fa da contrappeso l’icasticità esemplare delle opere di Nim Kruasaeng e Montien Boonma che si rapportano a quello che nel tempio è offerto dalla statua del Buddha, e quindi a una dimensione superiore o meno triviale. In questi modi, il rapporto degli artisti con il luogo, in questo caso non un tempio, ma uno spazio d’arte, come luogo di esperienza, diventa parallelo ed esemplare.

Parte essenziale del progetto è il coinvolgimento del pubblico non solo in forma passiva, come nel caso dei poster diffusi da Surasi Kusolwong, ma anche attiva, e penso a Killing the time di Becheri. La tendenza alla desogettivizzazione nell’arte contemporanea mi sembra una pratica di ricerca proficua…
La tensione verso la desoggettivizzazione mi sembra una sana pratica oggi di contro alla sindrome negativa dell’occidente.

Le opere di Boonma e di Kruasaeng sono legate al mondo della trascendenza. Come interagiscono con il mondo materiale e quotidiano rappresentato dai lavori degli altri artisti in mostra?
Né per Montien né per Nim parlerei di trascendenza, che mi sembra un concetto molto occidentale da ambedue non condiviso. Parlerei per Montien di spiritualità legata tuttavia alla concretezza del lavoro materiale e dei materiali stessi, da cui la sua spiritualità non può prescindere, come accade anche in altre circostanze culturali in Thailandia non esclusivamente che abbiano a che fare con l’arte. Per Nim si tratta invece di un accesso assai particolare a un campo di forza vicino alla magia e alle sue manifestazioni più legate alla cultura popolare, dell’isan in particolare, da cui l’artista proviene. Questa concretezza e questo rapporto con una tradizione popolare rende il lavoro dei due artisti vicino al mondo degli altri che si muovono in zone più terrene.

Lei dice che Bangkok è la location perfetta per realizzare un progetto che vuole evadere i confini della galleria, cioè dei luoghi deputati all’arte, e mescolarsi con la vita che scorre al di fuori. Che esiti hanno prodotto gli interventi degli artisti sulla città?
Non ho possibilità di monitorare un eventuale feedback. Quel che invece mi è stato possibile accertare è l’effetto che la città ha avuto sugli artisti. La mostra è tuttavia insolita per questo contesto, data l’assenza determinata di densità e di forme che non rispecchiano la produzione, che viene mediata dai mezzi di comunicazione dell’attuale sistema dell’arte e dalla quale nella maggior parte dei casi un luogo defilato come questo è particolarmente impressionato. Nella Bangkok attuale esistono nuclei di espressività che non corrispondono ai canoni a cui la produzione del grande mondo si conforma e che per questo non trovano, o non hanno trovato ancora, una propria visibilità. Una mostra come questa dovrebbe indicare che ci sono altre possibilità e opportunità che si aprono anche per loro, senza dover subire modifiche necessarie o adattamenti di servizio per passare. Meglio “lost in translation” che omogeneizzati alla koinè della cultura dominante.

a cura di claudia paielli


dal 22 maggio al 6 luglio 2008
All our everydays
a cura di Pier Luigi Tazzi
Gallery Ver
2nd Floor. 71/ 31-35 Klongsarnplaza Chareunakorn Rd., Klongsarn – Bangkok 10600
Orario: da martedì a sabato ore 13-19
Ingresso libero
Info: tel. +66 28610933; fax +66 28610935; editor@verver.info;
www.verver.info

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