“Sulla biografia di James Tissot si potrebbe scrivere un film”. Tanto è stata “étonnante” la sua vita e ricca la sua produzione. La vasta retrospettiva in corso (fino al 21 febbraio) al Chiostro del Bramante dà ragione alla presentazione del curatore Cyrille Sciama, che con Emanuela Angiuli e Arthemisia Group, inaugurano un Tissot al completo tornato in Italia dopo dieci anni.
Era un dandy James Tissot (1836), un artista cosmopolita (francese prende nome inglese), eterno vagabondo ha vissuto tra Francia e Inghilterra e, dopo la morte prematura dell’amata, in Palestina, cambiando stile ad ogni viaggio.
Dal Salon dove espone i suoi portraits, alla fuga da Parigi dopo la Comune e la guerra franco-prussiana, non è certo un peintre engagé, e ripara a Londra dove la sua arte inizia a risentire dell’influenza della scuola della Royal Academy (visibile in Troppo presto, 1873). Ma dopo la dipartita di Katleen Newton ritorna a Parigi. È qui che stringe amicizia con Manet e Monet, e soprattutto con Degas e i fratelli Goncourt. Quando intuisce l’importanza delle incisioni si lascia prendere dalle pagine della letteratura grazie a Edmond de Goncourt. Questo nuovo interesse sfocia nelle illustrazioni Donne di Parigi ma la critica respinge, il ciclo è un vero insuccesso.
Nativo di Nantes, città di grandi scontri religiosi, torna alle sue origini cattoliche dopo un viaggio fatto in Palestina durato dieci anni, muore nel 1902 nel petit château che si era fatto costruire a Buillon.
Contrariamente a quanto annunciato, sono pochi, per la verità, i quadri di Giuseppe De Nittis (da collezione privata) con cui doveva articolarsi un confronto stringente al di là di una precisa scelta iconografica. E forse la mostra avrebbe potuto ospitare anche Boldini. Non è un caso che i tre guardino alle donne della Belle Epoque che ancora si fanno ritrarre e ammirare. Ma poco dopo, la svolta delle suffragette inglesi darà un volto nuovo e meno rassicurante alla figura femminile. Tissot le anticipa con opere come La viaggiatrice (dal museo di Anversa) della serie La straniera. Tutt’altro insomma dall’olio Al fiume, dove una giovane donna tiene un fiore in bocca, o La convalescente. Quanto di più lontano da scene vittoriane e insieme lascive che sono ritratte ne Il ponte dell’HMS Calcutta o nella giapponese Dama con ombrello. Mrs Newton del 1878 (proveniente dalla collezione Edmond Pigalle).
Quello che emerge dai quadri in mostra è quanto le donne degli artisti – nel caso di Tissot e di De Nittis: Katleen o Léontine – abbiano inciso sulle loro scelte anche se in modo inconscio. Non semplicemente come muse ispiratrici, semmai come icone affascinanti, della modernità nascente.
La mostra non fa sfilare solo donne con merletti e velette o i loro lunghi pomeriggi su prati soleggiati, ma fotografa anche il volto nuovo dell’età moderna, delle cupe realtà delle nuove metropoli.
Da una parte c’è Parigi, con le sfilate, i Salon e la moda, dall’altra Londra, la city, capitale già allora della finanza. E forse allora, non aveva tutti i torti quel pettegolo pungente e ironico di Edmond de Goncourt che nel suo “Journal” descrive De Nittis e Tissot, come due prezzolati in cerca di fortuna e di mercato.
I due comprendono bene dove gira la ruota e si inseriscono grazie alla loro capacità artistica di mutare registri e tematiche. Sono infatti i borghesi, e non più l’alta aristocrazia, i nuovi committenti che, con la loro brama di legittimazione, avanzano attraverso la vendita e l’acquisto di opere d’arte.
Ritratti e scene en plein air, battelli e dejeuner sur l’herbe sono quindi un preciso documento di quel nuovo mondo delle realtà cittadine che aprono non solo le frontiere e i grandi boulevard, ma che accolgono le piccole grandi rivoluzioni all’interno dei loro meccanismi economici.
E la mostra, con più di 80 opere provenienti da ogni parte (la Tate, il Musée d’Orsay, e altri musei di Ginevra, Torino e San Francisco), divisa in 9 sezioni, apre la scena non solo sull’eleganza dei salotti delle parigine (bello l’allestimento con divani capitonné e i lampadari d’epoca al II piano), ma anche sul fumoso ambiente in cui queste donne di crinolina si muovono insieme agli uomini.
La sezione con quattro dipinti della serie il Figliol prodigo (1880-82) è realizzata subito dopo la morte di Katleen. Mette al centro della scena l’eroe, un giovane inglese che, stanco delle comodità della casa paterna, va in giro per il mondo alla ricerca di distrazioni meno borghesi. Dopo mille disavventure (tra cui l’incontro con le danzatrici giapponesi ricordato nel Paese straniero) è costretto a fare ritorno. Il ciclo vale giustamente la lode della critica. Tissot, conscio del successo della propria arte declina la sua vocazione in ambientazioni bibliche di grande popolarità senza mai perderne in resa drammatica, in introspezione definite grazie all’uso della puntasecca (meritevole Ottobre) e di diversi tipi di inchiostro.
Impressionista e insieme influenzata da istanze preraffaellite e venete, la sua vena pittorica non dimentica neppure l’Italia. Non a caso, guarderà Carpaccio e Tiziano negli anni del suo viaggio tra Firenze e Venezia. Era il 1862 e, prima di tornare in Italia dodici anni dopo, aveva già appreso dai maestri tutto il necessario per dare vita a opere come La partenza del figliol prodigo.
Chiude la mostra una stanza buia in un vortice di uomini, gli stessi dell’ultima tela esposta (La più bella di Parigi, proveniente dalla Svizzera) che la bramano e declamano versi e aforismi sulla bellezza femminile passeggera. Eterna è invece la loro concupiscenza.
Anna de Fazio Siciliano