08 ottobre 2015

Tom Sandberg. Dalla Norvegia oltre il tempo

 
La Fondazione Fotografia di Modena ospita una retrospettiva del grande fotografo da poco scomparso. Ne parliamo con i due curatori

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Un silenzio fatto di mille parole. La Fondazione Fotografia presenta Around Myself, la prima importante retrospettiva dedicata in Italia a Tom Sandberg (1953-2014), improvvisamente scomparso proprio durante la progettazione della mostra di Modena. Raffinato interprete del mezzo fotografico, Sandberg è l’autore di immagini spesso di grande formato, in bianco e nero, che ritraggono attimi e momenti fortuiti di vita vissuta, laconiche e inquiete tranche de vie immerse in atmosfere eteree e misteriose che hanno come protagonisti anonimi passanti e suoi familiari, di cui il fotografo, però, non ha mai rivelato con esattezza l’identità. «Sono molto orgoglioso di aver portato Tom Sandberg in Italia», ci racconta Filippo Maggia, direttore della Fondazione Fotografia e co-curatore della mostra insieme allo storico dell’arte norvegese Sune Nordgren. «Around Myself è una mostra in due tempi, presentata lo scorso aprile al Kunstnernes Hus di Oslo e oggi qui a Modena e pensata con il contributo dello stesso Sandberg, scomparso inaspettatamente lo scorso anno. La sua opera, praticamente sconosciuta da noi, come in gran parte d’Europa, è invece molto apprezzata negli Stati Uniti, dove nel 2007 è stato protagonista di una grande mostra al MoMA/PS1 di New York. Ma non solo. Sue opere sono state esposte in luoghi prestigiosi come l’International Center of Photography sempre a New York o il Centre Pompidou di Parigi. Sandberg è stato un autore sorprendente, per il suo modo di relazionarsi a due mondi diversi, quello interiore e quello esteriore ma soprattutto per l’essere riuscito a raggiungere quest’intensità che strugge, che fa male. In lui c’è un’atmosfera che possiamo definire “bergmaniana”, nella scelta dell’utilizzo di bianchi e neri saturi, nelle immagini che si avviluppano su stesse mostrando tutta la sua difficoltà nel rapportarsi agli altri, costretto, quasi condannato a un lucido isolamento. Basta vedere questa mostra per comprendere come sia importante approfondire la conoscenza del suo lavoro e della sua poetica. Credo che sia un peccato averlo perso, egli avrebbe potuto dare ancora molto al mondo della fotografia e dell’arte». 
Ne parliamo con i due curatori.
Tom Sandberg, Around myself
Tra lei e Tom Sandberg c’è stato un forte legame di amicizia, oltre che un fortunato sodalizio lavorativo. In che occasione vi siete conosciuti?
Sune Nordgren:«Ci siamo incontrati a metà degli anni Novanta, mentre lavoravo a una personale di Cindy Sherman per la Konsthall di Malmö. Tom mi ha subito colpito per quella sua scelta di andare controcorrente, di non continuare la sperimentazione sul digitale e di rimanere fedele all’analogico, alla fotografia in bianco e nero. Posso affermare con tranquillità che è stato uno dei più importanti fotografi della scena scandinava ed europea degli ultimi trent’anni. Come dicevo, amava il bianco e nero e fotografare in analogico. Nessuna manipolazione, nessun editing finale. Le sue immagini sono delle piccole rivelazioni tratte dal mondo di ogni giorno. Impercettibili particolari che riescono a trasformare un’immagine banale in una storia avvincente. Mi sorprendeva anche per la scelta di non interessarsi alle grandi tematiche che caratterizzavano l’arte di quegli anni, dall’attenzione per il sesso, alla politica e alla guerra. Anche se spesso questi aspetti rientrano nella sua opera involontariamente, come riflesso della vita che scorre. Penso a una delle immagini in mostra, per esempio, che ritrae sua figlia all’età di circa due anni, stessa sul bagnasciuga. Guardandola, oggi è impossibile non pensare alla tragedia del piccolo Aylan e di tutti i rifugiati siriani. Le sue restano fotografie semplici. La scoperta improvvisa di una cosa o un impulso, un luccichio negli occhi che dura un centesimo di secondo, viene fissato nella pellicola e poi svanisce di nuovo: queste sono le cose che muovevano Tom Sandberg». 
Tom Sandberg, Around myself
Parlavamo prima di una sensibilità bergmaniana nella sua opera. Si legge spesso anche di un riferimento all’opera di Edvard Munch, nella sua attitudine per le immagini cariche di tumulti interiori. Possiamo cogliere una specificità scandinava nelle sue fotografie?
S.N.: «Penso che Tom sia stato abbastanza inusuale come fotografo, soprattutto se si guarda all’intera fotografia scandinava. A voi piace definirci come un popolo malinconico. E forse questo aspetto si ritrova anche nelle sue immagini. C’è in esse molta natura, e una visione personale e solitaria della natura. E ci sono tante relazioni anonime, tanti personaggi. Forse direi che è più scandinavo proprio questo suo approccio verso la natura la gente. Le sue immagini si presentano colte in un attimo preciso, storie indefinite inserite in luoghi altrettanto imprecisati, come gli aeroporti per esempio. Non sei in città, non sei in campagna. Ma sei in un luogo connesso con tutto il mondo. In un non luogo.
Colpisce anche la scelta di allestire una mostra priva di ogni riferimento didascalico. Come mai?
S.N.: «Tom ha sempre voluto che le sue immagini fossero senza tempo. A lui non importava quando fosse stata scattata la sua foto. E non dava mai nemmeno un titolo. Né anno né titolo. Perché avremmo dovuto usare delle didascalie?»
Around myself si inserisce all’interno di un’indagine più ampia sulla fotografia nordeuropea, Fotografia Contemporaneadall’Europanord-occidentale. CapitoloI. Tra gli artisti in mostra al Foro Boario troviamo Gillian Wearing, Wolfgang Tillmans, Sarah Jones, Sanna Kannisto. Esistono dei collegamenti tra la fotografia nordeuropea e quella italiana, emiliana nello specifico?
Filippo Maggia.:«Legami diretti non ce ne sono, anche se possono farsi dei confronti tra queste due realtà. Quella emiliana è una storia molto chiara, connotata da una forte attenzione al paesaggio, eredità della nostra straordinaria tradizione artistica. E il nord, per certi versi, ha un feeling simile. I Paesi scandinavi sono assediati dalla natura. Per un artista è quasi impossibile non confrontarsi con quei paesaggi infiniti e quella luce particolare, come ricordava Sune. Ed è interessante vedere come loro hanno risolto questo rapporto uomo/natura incontaminata e immutata che da noi è invece si traduce in un rapporto uomo/paesaggio, un paesaggio che è andato modificandosi nel tempo, contaminandosi, perdendo l’aspetto selvaggio e diventando poi paesaggio-umano». 
Ci sarà anche un Capitolo II?
F.M.: «In effetti, ci siamo lasciati l’opportunità di continuare ad indagare quest’area, che ha dato i natali a tanti protagonisti della scena fotografica contemporanea. Intanto la Fondazione continua le sue attività divisa tra la ricerca, il centro espositivo e l’attività di formazione, con i Master di Alta Formazione che anni promuoviamo sul territorio emiliano». 
Leonardo Regano

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