Nello spazio della Fondazione Merz è in scena “Shkrepëtima”, il complesso progetto dell’artista kosovaro Petrit Halilaj (1986), vincitore per la sezione Arte della seconda edizione del Mario Merz Prize e, nel 2013 rappresentante del Kosovo alla Biennale di Venezia.
Curata da Leonardo Bigazzi, “Shkrepëtima” costituisce il momento intenso e conclusivo di restituzione della performance realizzata il 7 luglio 2018 con la partecipazione della comunità locale, tra le rovine della Casa della Cultura di Runik, in Kosovo, città di provenienza dell’artista, e di una precedente tappa espositiva a Berna presso lo Zentrum Paul Klee.
La storia personale dell’artista si intreccia inevitabilmente con le memorie del popolo kosovaro; specialmente di Runik, cittadina di origine neolitica che si confronta con il recupero della propria identità attraverso reperti antichi – specialmente l’ocarina, il più antico strumento musicale rinvenuto in quell’area e il cui suono costituisce il leitmotiv della performance- e le rovine della Casa della Cultura edificio simbolo dell’appartenenza culturale di un popolo segnato dalla devastazione degli eventi bellici.
Veduta della mostra: Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 ottobre 2018 – 3 febbraio 2019 , Fondazione Merz
Il recente passato è tangibile ma l’artista restituisce la propria riflessione ad un livello collettivo, mai autoreferenziale, attraverso una narrazione poetica, leggera e, al tempo stesso, onirica, che viaggia tra passato, presente e futuro. E il sogno di un giovane ragazzo kosovaro di far rinascere il teatro della Casa della Cultura costituisce, infatti, il punto di partenza del percorso espositivo, con l’installazione di un nido-letto, luogo dell’origine, circondato da elementi naturali, da frammenti e macerie rimosse durante l’opera di riqualificazione della Casa della Cultura, riproposti come testimoni storici sospesi, rimossi anche simbolicamente e alleggeriti della propria gravità.
Ricontestualizzata con approccio quasi archeologico nell’ex spazio industriale torinese, la performance viene riproposta ai visitatori attraverso un percorso caratterizzato da frammenti di scena, sipari accompagnati da oggetti che rimandano a questioni e nodi sociali cruciali anch’essi tema della performance onirica, scenografie, installazioni, disegni di scena e opere grafiche realizzate dall’artista come una partitura illustrata di esili figure fantastiche, uccelli che fanno capolino sui documenti d’archivio ritrovati nella Casa della Cultura; supporti dove si incontrano passato e presente, realtà e fantasia; rimandi ad una lontana e fervente quotidianità prima dello scoppio della guerra. L’intervento site specific dell’artista raggiunge il suo culmine con le architetture e i telai lignei impiegati durante la rappresentazione che, come uno scheletro, riproducono nelle proporzioni la struttura del vecchio edificio. Il tema del luogo diviene fondamentale per l’elaborazione e la costruzione della memoria e del senso di appartenenza e di riconoscimento collettivo. In questo senso l’opera di Petrit Halilaj si integra e dialoga con l’ex spazio industriale torinese degli anni ‘30, lo plasma lo riconfigura ma non ne nega la presenza stabilendo con esso e con il visitatore un dialogo capace di elevare la riflessione su un piano universale, un richiamo quasi ancestrale di appartenenza di ciascuno a una storia, a un vissuto, ad una origine e a una Casa parte del proprio vissuto e della propria identità.
Veduta della mostra: Petrit Halilaj. Shkrepëtima, 29 ottobre 2018 – 3 febbraio 2019 , Fondazione Merz
Un luogo nel luogo, quindi, dove la forza del linguaggio di Halilaj risiede nella capacità di stabilire connessioni, di richiamare archetipi e dialogare attraverso le opere in scena con il visitatore, partecipe costante ad una performance che non si è mai esaurita. E proprio al piano inferiore troviamo l’origine del progetto, presentato dal video che documenta la performance e durante il quale immagini che testimoniano la realtà dello stato l’incuria delle luogo prima dell’intervento di riqualificazione, si alternano alla rappresentazione del sogno del giovane risvegliato dal suono delle antiche ocarine in una realtà rinnovata, rivitalizzata dall’intervento e dalla valorizzazione che l’artista la comunità locale hanno intrapreso per la realizzazione dell’evento. A partire dalla riflessione sul passato, riletto con la sua carica di visionarietà e poesia, l’artista ha prodotto una trasformazione concreta nella realtà contingente, innescando la scintilla di inizio- Shkrepëtima in lingua albanese- per attivare un processo di valorizzazione, rinnovamento e ricostruzione partecipata dell’identità sociale, salvaguardando l’edificio della Casa della Cultura e portandolo all’attenzione del Ministero della Cultura.
Manuela Santoro