04 luglio 2018

Tra Mar Baltico e Tour Eiffel

 
A Parigi, variazioni sull’Impressionismo al Petit Palais e al Museo d’Orsay. Guardando a quei pittori “lontani” i cui toni inquieti sembravano preludio perfetto alla modernità

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La ricerca sulla rete di relazioni che determinarono diffusione e maturazione dell’avventura impressionista e le sue evoluzioni, avviata dal Petit Palais nel 2011 con la mostra “La modernité élégante” su Giuseppe De Nittis, proseguendo nel 2013 con “Les impressionnistes slovènes et leur temps. 1890-1920” e nel 2017 con “Le maître de la peinture suédoise” sul pittore scandinavo Anders Zorn prosegue con l’attuale mostra “Les Hollandais à Paris”, 1789-1914.
In contemporanea il museo d’Orsay, con la mostra “Âmes sauvages. Le symbolisme dans les pays baltes”, amplia l’orizzonte geografico della conoscenza della cultura figurativa ai primi del novecento e indaga sull’influenza delle grandi correnti pittori-che europee in quei “remoti” – per l’epoca – Paesi.
È opportuno sottolineare come questa sorta di fil rouge transnazionale sembra es-sere stato colto, oltre che da numerose esposizioni europee, a Napoli dove a Palazzo Zevallos è stata proposta la mostra “Da De Nittis a Gemito. I pittori napoletani a Parigi negli anni dell’Impressionismo”, che rende giustizia al valore e al ruolo svolto dai molti pittori e scultori della scuola napoletana presenti a Parigi nella seconda metà dell’Ottocento. 
La ricerca intrapresa riveste un grande interesse perché arricchisce i contenuti della rivoluzione impressionista e questo respiro internazionale, nel ridimensionare il consolidato sciovinismo, consente l’individuazione dei tanti semi e delle segrete potenzialità che quel nuovo modo di affrontare la descrizione della realtà racchiudeva e poteva ancora innescare. Rendendoli con tale divulgazione patrimonio non solo degli studiosi.
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Kees Van Dongen, A la Galette, 1904 Courtesy Galerie Artvera’s
La mostra al Petit Palais (a cura di Stéphanie Cantarutti) cerca di stabilire i rapporti di reciproca influenza fra i nove pittori olandesi presentati: Gérard van Spaendonck di fine ‘700, Ary Scheffer, Jacob Maris, Johan Jongkind e Frederik Kaemmerer di metà ‘800 e, da fine ’800, George Breitner, Vincent van Gogh, Kees van Dongen e Piet Mondrian, che vengono confrontati con gli artisti francesi loro contemporanei Géricault, David, Corot, Millet, Boudin, Monet, Cézanne, Signac, Braque, Picasso
Le 115 opere presentate provenienti da numerosi musei intendono documentare il ruolo svolto dal migliaio di artisti olandesi che, dal 1789 al 1914, convergono a Parigi; emerge chiara l’influenza del marcato cromatismo della pittura fiamminga nell’esplosione coloristica impressionista ma anche il contributo alle successive correnti del novecento nei Paesi Bassi, fornito dall’esperienza degli artisti rientrati dopo l’avventura parigina. Le mappe che localizzano la posizione degli atelier che ciascun artista aveva occupato a Parigi forniscono uno spunto geniale per suggerire gli scambi fra di loro e le suggestioni che la città, nel suo inarrestabile processo di crescita e trasformazione, forniva agli artisti.
Nel leggere il titolo della mostra al Museo d’Orsay “Le anime selvagge. Il simbolismo nei paesi baltici” (a cura di Rodolphe Rapetti) il pensiero va subito ad Anime baltiche il testo illuminante di Ian Brokken che racconta la vitalità e il fascino delle genti di Estonia, Lettonia, Lituania e la ricchezza culturale rappresentata dalla compagine di intellettuali baltici “svelati” dal libro: Mark Rothko, Hannah Arendt, Romain Gary, Gidon Kremer, Sergej Eisenštein, Arvo Pärt tra gli altri. 
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Vilhems Purvītis, Maestoso, 1910
La mostra ha invece soprattutto valore documentario per la vastità e l’originalità del panorama degli artisti presentati, perlopiù a noi sconosciuti; le opere scelte del periodo dal 1890 agli anni 1920-30 hanno un’indubitabile impronta comune, dai toni cupi e raggelanti, evocativa di miti e tradizioni locali. Un simbolismo tendenzialmente funereo che presenta una natura respingente spesso popolata di fantasmi e un’umanità fatta di avatar e personaggi inquietanti: Adomas Varnas propone un doppio ritratto Il pessimista e l’ottimista nel quale la distinzione fra i due è impossibile e mestissima è La giovane contadina (1904) di Johan Walter scelta per il manifesto. Più stimolante è la varietà di tecniche pittoriche e la qualità dei segni: Mikalojus Ciurlionis, forse l’unico noto, propone tredici pannelli a tempera La creazione del mondo (1905/6) evocativi delle variazioni luministiche dei reiterati paesaggi urbani di Monet; Foreste (1913) è un olio di Konrad Magi che rinvia ai colori di-rompenti di Rousseau; di Ferdynand Ruszczyc Vento d’autunno, olio del 1901 che inquadra un casale contro il cielo nuvoloso, premessa delle visioni di Edward Hopper. 
L’esposizione, quale importante contributo alla conoscenza della specificità della cultura di quei Paesi e del senso dell’autonomia per secoli agognata, ben riesce nell’intento dichiarato di celebrare il centenario dell’indipendenza delle repubbliche baltiche.
Giancarlo Ferulano

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