Tu chiamale se vuoi emozioni. Ma molto luminose

di - 12 Gennaio 2014
A Villa Panza di Varese, tempio dell’Arte Minimalista e dell’Arte Ambientale di proprietà del Fai (Fondo per l’ambiente italiano), dove aleggia lo spirito di Giuseppe Panza di Biumo, sono tornati Robert Irvin (1928) e James Turrell (1943), protagonisti dell’Arte Ambientale statunitense, che negli anni’70  furono inviati dal conte in questa paradisiaca reggia immersa nel verde, con  un  giardino all’italiana che pare dipinto e dove campeggia una morente quercia secolare, a realizzare opere site specific, incentrate sulla luce, sullo spazio e la percezione.
In questa dimensione apollinea, dove non soltanto il cielo e il paesaggio entrano nelle stanze, ma anche la luce artificiale sembra costruire volumi, prospettive, spazi e ambienti che agiscono sulla percezione, mettendo in discussione le regole dell’ottica, si consiglia di tornare più volte senza avere fretta, perché stanza dopo stanza abitate dal silenzio, si perde la cognizione del tempo e si medita sull’assoluto.
Ci sono poche mostre capaci di coinvolgere i cinque sensi, come avviene con “Aisthesis. All’origine delle sensazioni: Robert Irwin e James Turrell” (fino al 2 novembre  2014), in cui anche il sesto senso, quello del pensiero di uno spazio della percezione, diventa un progetto espositivo realizzato in collaborazione con il Guggenheim Museum di New York, il Getty Research di Los Angeles e l’Archivio Panza di Mendrisio, da sperimentare più che da raccontare. Non è facile descrivere la sensazione di precipitare nel vuoto nelle architetture luminose di spazi/soglia, in bilico tra il visibile e l’invisibile, che si sente come l’aria trasparente,
pura e cristallina, ma non si spiega razionalmente.
La mostra a cura di Anna Bernardini, direttore di Villa Panza e Michael Govan, direttore del LACMA di Los Angeles, presenta diciannove opere dagli anni’60 ad oggi, molte delle quali provenienti da istituzioni internazionali come il Guggenheim di New York, l’Hirsshorn Museum di Washington e il Museum of Contemporary Art di San Diego, che raccontano la ricerca di due artisti–scienziati californiani, esponenti del movimento “Light and Space”, conosciuti per le loro esplorazioni di potenzialità espressive di fenomeni luminosi, attraverso opere e installazioni che conduco lo spettatore nella quarta dimensione, quella evocata nei tagli delle tele da Lucio Fontana   qui materializzata nelle stanze inondate di luce naturale e artificiale. Come? Andate nella Scuderia Grande al piano terra della Villa, varcate la soglia del Ganzfeld (in italiano significa campo totale) di James Turrell, termine che indica in psicologia una tecnica di deprivazione sensoriale, camminate senza scarpe su un pavimento soffice come il cotone, leggermente inclinato, immergetevi in un ambiente insonorizzato in cui si alternano i colori dell’iride che smaterializzano il limite delle pareti  grazie a sofisticatissime apparecchiature tecnologiche, dove apparirà un nuovo paesaggio senza orizzonti. Qui la vertigine del vuoto diventa un miraggio: è una sensazione che ad alcuni spettatori  provoca un leggero disturbo percettivo.
Oppure entrate nella nuova installazione site –conditioned  dal titolo Villa Panza 2013 di Robert Irwin, che occupa l’ambiente della Limonaia e dialoga con Varese Scrim (1973), l’altro intervento situato al primo piano nei Rustici della Villa, dove si trovano velari di nylon incorporei che suddividono ambienti, utilizzati per alterare la percezione e visualizzare una inspiegabile sensazione di foschia perenne. Anche nel recente intervento, concepito come un “labirinto” percettivo modellato dalla luce naturale, perderete la percezione dello spazio e percorrendolo, scorgerete profondità illusorie, trasparenti come l’alba, in cui al centro dell’opera  c’è lo spettatore che sperimenta architetture emotive.
Nella Scuderia Piccola campeggia Piccadily (2013), opera realizzata con una serie di tubi fluorescenti colorati, che caratterizza il lavoro più recente di Irwin, così diversa dalle installazioni  Varese Portal Room e Varese Window Room, realizzate nel 1973 a Villa Panza. Al primo piano, oltre a Lunette, Sky Space I e Virga del 1974 della Villa sono esposti alcuni tra i più conosciuti Projection Pieces di James Turrell: Wallen (White) del 1976, Shantta (Blu) del 1967, appositamente realizzata in occasione della  mostra. Cercate l’opera acquistata da Giuseppe Panza nei primi anni ‘70, Afrum I (White) del 1967, oggi conservata al Guggenheim Museum di New York, che insieme ad altre opere donate dal collezionista al museo americano nel 1992, emoziona e vi farà ricordare quando da piccoli, per la prima volta, avete accesso la luce e scoperto il suo misterioso e iridescente fascino. Quest’opera è un miracolo percettivo: una proiezione di luce plasma un cubo luminoso concreto come una forma solida, fluttuante nell’angolo di una stanza, simile ad un effetto 3D, percepibile senza occhialini speciali. Sbattendo le palpebre o cambiando posizione, il cubo sembra scomparire e la luce scivola  sulla superficie della parete, come a “illuminarci” sul pensiero della nostra natura effimera.
Proseguendo nelle sale adiacenti della Villa, sempre al primo piano, superata la proiezione di Wallen, entrate nel vivo della mostra. Ecco il dialogo tra i due artisti con l’architettura, attraverso un  nucleo di opere storiche di Robert  Irwin: Untitled (Dot Painting, One of a Series of 10 each unique), dipinto realizzato tra il 1963 e il 1965, mentre Untitled (1969) un grande disco convesso di acrilico (proveniente dal Museum of Contemporary Art di  San Diego), ipnotizza lo sguardo, da  osservare più volte per scorgere una fisicità illusoria e indeterminata. Non passate di corsa davanti al suo Untitled (Column) del 2011, una svettante colonna di plastica trasparente, catalizzatrice di luce naturale, issata vicino a una finestra che riflette luci e colori secondo gli spostamenti del sole all’esterno. Sulla stessa scia di alterazione ottico-percettiva  si collocano anche gli Holograms (2011-2013) di Turrell che spuntano dalle pareti, osservateli con calma per cogliere la visione di bagliori multidimensionali che definiscono forme altrimenti invisibili in relazione con l’architettura e amplificate da innovazioni tecnologiche complesse. Il costosissimo progetto espositivo è stato realizzato grazie a JTI (Japan Tobacco International), partner di Villa e Collezione Panza, con cui  la Fondazione ha stipulato una collaborazione pluriennale con l’obiettivo di valorizzare e promuovere le attività culturali e le opere di restauro di questo tempio dell’estetica, grazie anche al prezioso contributo di Eni, con il sostegno di Provincia di Varese e con il patrocinio di Regione Lombardia, Provincia e Comune di Varese.
Nel mezzo del percorso espositivo si trova una sala più didattica, con bacheche contenenti  documenti, fotografie, giornali, cataloghi e progetti che approfondiscono il feeling tra i due artisti  americani e Giuseppe Panza, uniti dalla passione di ambienti metafisici, l’osmosi tra arte, scienza e sperimentazione di nuove esperienze visive, con particolare attenzione agli aspetti legati alla deprivazione sensoriale. Il tutto in collaborazione con “Art and Technology”, ricerca promossa dal Los Angeles Contruy Museum of Art (LACMA) tra il  1967 e  il 1971. Le opere di Turrell e Irvin sono “impressioniste”, perché cambiano intensità di luce nelle diverse ore del giorno e si ibridano con l’ambiente circostante, materializzando uno spazio intangibile quanto reale che, nell’ambito della nostra cultura dell’environment, trasforma l’opera in un’esperienza estetica totale. Turrell, proveniente da studi di matematica e di psicologia,  dal 1977 in una regione desertica dell’Arizona, dove il cielo è più limpido, lavora con astronomi  e scienziati sul progetto del Roden Crater: un ex  vulcano trasformato  in uno spazio di osservazione astronomico. Questo grande occhio che incornicia la luce della volta celeste è un opera ambientale, sostenuta dal conte Panza, percorribile all’interno e considerata la “Sistina del XXI secolo”. A Villa Panza la ricerca di una dimensione dello “Spirituale nell’arte” teorizzata da Vasilij Kandinskij, è di casa in altre opere site-specific dove si annulla il confine tra organico e artificiale, arte e scienza, emotività e ipertecnologia. Qui si entra nella zona neutra in cui è visibile l’antimateria e l’infinito, direbbe Yves Klein, si plasma un vuoto dove fluttuerete nel mistero del cosmo e sarete risucchiati dalla profondità di riflessioni esistenziali e ognuno farà il suo viaggio.

Jacqueline Ceresoli (1965) storica e critica dell’arte con specializzazione in Archeologia Industriale. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente.

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