Tutte le vittime di Laura Palmer

di - 29 Giugno 2017
Se è vero che “i gufi non sono quello che sembrano”, possiamo dire senza dubbio la stessa cosa delle serie tv. Per avvicinarci alla nuova produzione del duo Lynch/Frost, Twin Peaks – The Return, dobbiamo innanzitutto predisporci alla visione di una serie che “non è quello che sembra”. Proprio David Lynch, in una recente intervista, ha rivelato di aver concepito quella che in apparenza dovrebbe essere la terza stagione del serial televisivo più famoso del mondo come un unico, vero e proprio film della durata di 18 ore – successivamente editato in episodi di un’ora per la trasmissione sull’emittente americana Showtime. Se poi aggiungiamo che uno dei due creatori di Twin Peaks, nonché regista dell’intera produzione, non è solo uno dei più talentuosi filmaker della contemporaneità ma un artista che da decenni spazia dalla pittura alla fotografia, dall’installazione al cinema al videoclip alla scultura alla scrittura di testi e musica per canzoni, insomma un talento eclettico nel senso più vasto del termine, risulta chiaro che non siamo di fronte a qualcosa di cui possiamo parlare come faremmo dell’ennesima stagione di Game of Thrones o del malinconico revival di Dallas.
Dale Cooper, Twin Peaks
Twin Peaks – The return, giunge oltre 25 anni dopo la prima serie che ha fatto impazzire il mondo attorno al mistero della morte di Laura Palmer e ha trasformato l’immagine del suo volto in icona imprescindibile di fine Novecento, ha creato un microcosmo – la cittadina che dà il nome alla serie – in cui generazioni di adolescenti hanno sognato (creduto?) di vivere e ha rivoluzionato per sempre il mondo della produzione seriale televisiva, radendo al suolo stereotipi e canoni del genere e influenzando, in un modo o nell’altro, tutto ciò che è venuto dopo.
Avvolta nella plastica, ma soprattutto nei fiumi di lacrime dei compaesani e nelle struggenti musiche di un Angelo Badalamenti in forma smagliante, Laura Palmer ha mietuto vittime sin dalla sua primissima apparizione. Curioso, per il cadavere di una reginetta della scuola! E ancora oggi, in tutto il mondo, Laura continua a mietere vittime. Nostalgici, speculatori, specializzati analisti di serie tv, nerd incalliti esperti di tutto, ma anche produttori, registi, attori e artisti di ogni genere, giornalisti e critici della prima e dell’ultima ora, tutti soccombiamo inesorabilmente di fronte all’ultimo parto della mente geniale di Lynch e Frost. Siamo, al momento in cui scriviamo, all’ottava parte andata in onda negli USA (e ci aspetta un’insopportabile pausa di due settimane prima della nona!) e Twin Peaks – The Return ha già fatto piazza pulita di ogni possibile aspettativa di sviluppo non solo sulla trama e sul seguito delle vicende, ma soprattutto sullo stile delle riprese, sul montaggio, sui “contenuti”, sui personaggi e persino sulle simbologie “surreali” e “misteriose” che i fan tanto hanno amato negli anni ’90. Tutto azzerato, per quanto tutto ancora presente e perfettamente inscritto nella macchina narrativa lynchiana, ma nessun appiglio, nessuna prevedibilità.
Twin Peaks, Quinto episodio – case files
Decine di cameo e nuovi protagonisti che si aggiungono a una nutrita schiera di attori delle serie originali che ritornano, feature di band musicali ma anche nuovi luoghi, nuovi scenari reali, surreali, immaginari, immaginati e – costante – Lynch, le sue visioni, la sua arte, le sue “opere”, la sua carriera. “Lynch allo stato puro” è l’unica valida e non mendace definizione di questo nuovo lavoro del genio di Missoula, e per apprezzarla appieno è non solo necessario aver banalmente visto le serie precedenti e il film Fire walk with me ma conoscere la sua filmografia completa e i suoi primissimi lavori, come i corti The Grandmother, The Alphabet e The Amputee, per citarne solo alcuni, o lo spettacolo teatrale Industrial Symphony no.1, le sue collaborazioni musicali, i suoi scatti fotografici industriali o la striscia a fumetti The Angriest Dog in the World. Insomma, questo nuovo Twin Peaks è quasi certamente una summa di tutto ciò che Lynch ha prodotto, persino quel film che ha davvero spiazzato mezzo mondo alla sua uscita nel 1999, The Straight Story, in cui i corridoi claustrofobici e le autostrade perse nella notte lasciavano spazio a sterminate distese agricole e cieli infiniti e ogni orizzonte pareva dichiarare l’impossibilità ad orientarsi veramente persino all’interno dello stesso mondo lynchiano.
David Lynch sul set di Inland Empire, 2006
Twin Peaks, spiazza, disorienta appunto e – non anticipiamo assolutamente nulla! – non manca mai di lasciare lo spettatore a bocca letteralmente aperta, passo dopo passo, pezzo dopo pezzo, perché non sono “episodi” ma “parti”. Ed è un meraviglioso viaggio a cavallo tra realtà, irrealtà e surrealtà che non va capito, spiegato o interpretato ma semplicemente assaporato, goduto, vissuto. Ogni scena, non ci stancheremo mai di dirlo, è un’opera d’arte: ad isolarle si riempirebbero padiglioni della Biennale di Venezia per i prossimi decenni (qualcuno ci pensi per favore!).
Come se ci trovassimo sempre dentro ad un’installazione totalmente immersiva, o catapultati in un videoclip musicale sperimentale o ancora in un film degli anni ’50 (quanto ama Lynch gli anni Cinquanta!) o entrassimo in un dipinto o un disegno criptico che parla a parti di noi che nemmeno siamo consapevoli di avere. Inland Empire, ci aveva detto qualche anno fa l’autore, “L’impero della mente”.
E Laura Palmer torna a mietere vittime nel mondo della comunicazione socializzata, della globalizzazione sfrenata e del consumo iperveloce di immagini e contenuti e chi si avvicina a lei sperando in tempi e immagini convenzionali o rassicuranti, ne cade vittima, senza possibilità di ritorno, perché qui i tempi non sono quelli della tv e di Netflix, delle dita che scorrono avide e voraci i Tumblr o i Facebook o i tweet o quelli delle slide delle convention delle multinazionali, ma quelli dell’arte che ci inchioda alla visione prolungata per svelarci verità altrimenti inenarrabili. Se il tempo è contratto e infinitesimo, oggi, e con esso le distanze che si annullano con un click, Lynch si riappropria di spazi, tempi, azioni, dialoghi e ci trasporta a vedere, anzi a a Vedere con la maiuscola, perché ci apre lo sguardo a dimensioni sconosciute e impalpabili, all’inatteso, al perturbante, allo straniante. Che è poi quello che i più grandi artisti di tutti i tempi, in verità, hanno sempre fatto.
Black Lodge, Twin Peaks
Vittime e ancora vittime di Laura Palmer, gli esegeti dell’impegno sociale dell’arte e delle metafore – di cui su suggerimento del buon David è meglio disfarsi perché a lui proprio non interessano – o delle interpretazioni e delle letture tra le righe (l’America di oggi, la globalizzazione, i nostri tempi e banalità del genere). Lynch oscilla tra sogno e realtà, si dice, ma anche questa oscillazione è un’interpretazione almeno in parte falsa, perché tra sogno e realtà non c’è soluzione di continuità, è quello che noi chiamiamo “realtà” ad avere una natura e delle manifestazioni molto più vaste, ramificate e multiformi di quanto crediamo.
Un vero e proprio cosmo ri-creato e re-immaginato che può solo essere “sentito”, esperito nel profondo, attraversato come un mare vorticoso di immagini e suoni, parole. Eppure non è un semplice flusso di coscienza. C’è premeditazione in Twin Peaks – The Return e Lynch è sempre rigoroso, nel caos mette ordine, traccia mappe e percorsi, sceneggia, scrive, monta. Semplicemente la sua tecnica abbatte i confini linguistici, amplifica la visione, estende il lessico e sovverte le regole ma l’ordito è quanto mai resistente e fitto, ogni elemento ha la sua precisa collocazione spazio-temporale. Ogni fotogramma ha la sua ragione intima di esistere, il suo hic et nunc preciso e puntuale. Solo che, abituati a convenzioni e finte rotture delle convenzioni, facciamo un po’ fatica a rendercene conto. Dobbiamo muoverci in modo un po’ insolito, fare dei passi indietro o di lato, saltare, cadere, liberare la visione e la parola, sfondare il muro della logica e del quotidiano, delle news che ci dimentichiamo dopo cinque minuti e degli status indignati da commentare. Twin Peaks – The Return, ancora una volta, è un’opera d’avanguardia, rivoluzionaria e i suoi effetti sulla cultura del nuovo millennio li scopriremo nelle narrazioni che verranno. Per ora, godiamoci il capolavoro. In attesa che Mister Lynch arrivi al prossimo Festival del Cinema di Roma.
Andrea Cioschi
Andrea Cioschi si definisce “disturbatore visionario e politicamente scorretto”. Redattore di Virus Mutations, ha collaborato con Around Photography e Art’O e curato rassegne e mostre d’arte contemporanea. Nel 2014 è stato tra i fondatori de La Falla che ha coordinato fino al 2016

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