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02
febbraio 2018
Tutti i frutti dell’editoria indipendente
Progetti e iniziative
Intervista con Anna Ferraro, fondatrice e direttrice di una delle fiere bolognesi “collaterali” più attese: “Fruit” a Palazzo Re Enzo. Per un'edizione tra queer e fashion
di Silvia Conta
Al via la di sesta edizione di Fruit Exhibition, il festival e market internazionale dell’editoria d’arte indipendente di Bologna: da oggi al 4 febbraio negli spazi Palazzo Re Enzo sono riuniti oltre 150 editori indipendenti italiani e stranieri con le loro pubblicazioni a stampa – la quasi totalità introvabile nelle librerie di catena – e digitali, in un ventaglio che annovera libri d’artista, cataloghi, progetti di graphic design, periodici e zines. Due i focus di quest’edizione: Let’s Queer e Fashion Documents, a cui fa da corona un fitto intersecarsi di conferenze, workshop, mostre e installazioni.
Abbiamo parlato con Anna Ferraro, fondatrice e direttrice di Fruit, che negli anni si sta affermando come evento di riferimento per l’esplorazione dell’universo dell’editoria d’arte indipendente, in febbrile fermento.
La storia di Fruit Exhibition inizia nel 2012, con la sua prima edizione, da tre anni si svolge in concomitanza con Arte Fiera e lo scorso anno ha avuto oltre settemila visitatori. Perché è nata e come è cambiata negli anni?
«Il progetto Fruit Exhibition nasce dalla volontà di creare un’occasione di visibilità per un prodotto editoriale che si appoggia a circuiti distributivi indipendenti e che veicola principalmente contenuti legati alle arti visive. Negli anni, migrando dalla concomitanza con la Fiera del Libro per Ragazzi al weekend di Artefiera, abbiamo assistito a un cambiamento tra gli espositori del nostro market: da editori molto legati all’illustrazione e al fumetto abbiamo ora pubblicazioni con contenuti più vicini all’arte contemporanea e alla fotografia».
BOLO Paper poster, stampato presso Tipografia Reali con pantone 506 fluo, 2017
Con quale spirito Fruit guarda, oggi, all’editoria indipendente?
«Lavorare a un evento come Fruit significa costruire un contenitore capace di includere tutte le istanze che rappresentano un universo estremamente sfaccettato, la riflessione si rigenera attraverso il continuo interrogarsi su che cosa significa pubblicare e pubblicarsi in quest’epoca specifica. “Che cos’è un oggetto editoriale? Quali sono le sue caratteristiche e i suoi confini? Quali le parole che possiamo utilizzare e quali i termini da abbandonare per definirlo?” Sono queste le domande che ci permettono di mantenere la ricerca aperta. Il risultato è uno scenario estremamente fluido, proprio dell’espressione visiva contemporanea, in grado di attraversare con disinvoltura ambiti molto diversi e trovandosi spesso un passo avanti rispetto a tematiche che diventeranno di lì a poco i nuovi trend culturali. L’anno scorso abbiamo ospitato sezioni di edizioni con contenuti sonori e di fotografia mentre quest’anno parleremo di editoria di moda e queer».
Veniamo all’edizione 2018 che accoglie oltre 150 espositori, di cui circa la metà sono italiani e l’altra metà europei e statunitensi. Come avete selezionato i partecipanti?
«Gli espositori vengono selezionati attraverso l’apertura di una “call” che normalmente viene lanciata in estate. Selezioniamo editori con canali di distribuzione indipendente, poi ci soffermiamo sul livello qualitativo raggiunto dall’editore e infine setacciamo ancora tenendo presente il tipo di pubblico che frequenta il nostro evento che è molto legato alla cultura dell’immagine e con una capacità di spesa contenuta».
Chippendale Studio, Amnesia, Roberto Cavazzuti, 2017
Le caratteristiche dei partecipanti ritraggono l’eterogeneità del settore: si va da realtà sperimentali molto piccole – soprattutto italiane – a nomi che sono punti di riferimento internazionale, provenienti per la maggior parte dalla scena estera. Da cosa deriva questo scenario?
«È vero che tra i nomi presenti a Fruit, le realtà più strutturate sono nord europee ma questa caratteristica non riguarda tutta l’editoria indipendente che presenta una situazione più variegata. Il caso dell’Italia forse riflette la situazione imprenditoriale generale del nostro paese nel quale si fatica a sopravvivere. Inoltre il consumatore italiano è spesso maggiormente interessato ad altri prodotti e questo comporta che case editrici d’arte e magazine italiani siano maggiormente attratti dai mercati esteri».
Fruit quest’anno propone due grandi focus: Fashion Documents, a cura di Saul Marcadent , e Let’s Queer. Perché li avete scelti e come si intrecciano?
«Sono due ecosistemi che si nutrono a vicenda, sono ricchi di pubblicazioni che fanno ricerca e che offrono quello sguardo sul contemporaneo che ci interessa proporre. Sono ambienti fluidi, capaci di far convivere elementi opposti racchiusi in un design disinibito. Entrambi narrano il mutamento, l’instabilità e sono accomunati da un erotismo pungente e mai banale. Questo nonostante i punti di partenza lontanissimi: la moda magnificamente superficiale e il queer che invece porta a galla aspetti molto intimi».
A queer culture illustrated guide, stickers
Chi sono i protagonisti del focus Let’s Queer? Nel comunicato stampa si legge che è posto un accento sull’”identità di genere attraverso la lente della propria performatività”, può farci un esempio?
«I protagonisti di Let’s Queer sono artisti, redazioni, collettivi o singoli autori che hanno scelto di parlare della cultura – soprattutto visiva – che ruota attorno agli studi di genere attraverso pubblicazioni indipendenti che possono essere riviste, libri o fanzine. Si parla di performatività perché il queer si basa sulla rivendicazione di un diverso modo di agire che parte dalla sessualità ma che poi si riflette su tutto il resto. Polyester Zine, ad esempio, è una rivista inglese che rivendica la libertà di scegliere ciò che è comunemente considerato di “cattivo gusto” mentre l’illustratrice Cristina Portolano, con il suo fumetto autobiografico “Quasi signorina”, reclama il proprio diritto a non essere per forza “una bella bambolina”».
Gli editori della sezione queer sono soprattutto stranieri, americani in particolare, come è l’editoria di questo tipo in Italia?
«Nella selezione che abbiamo fatto c’è poca Italia perché abbiamo dovuto dare spazio a cose che nel nostro paese non si vedono o si vedono poco, alcune di esse sono addirittura “out of stock” e quindi rare. Personalmente conosco alcune belle realtà italiane legate al fumetto e all’illustrazione e poi c’è questa nuova rivista, Frute, che è al suo primo numero e promette bene».
Questa edizione – come le precedenti – propone anche un ricchissimo programma di eventi paralleli: conferenze, workshop, mostre, installazioni…
«Fruit è sempre stato così articolato perché l’obiettivo dell’evento è offrire al pubblico diversi modi di avvicinarsi all’editoria indipendente: osservando e acquistando il prodotto finito, apprendendo le tecniche per realizzarlo, fruendo opere relazionate alla pubblicazione e ascoltando i racconti delle esperienze altrui».
Silvia Conta