La mostra personale Cuore di Bruno Pagliano è visitabile presso nella Sala Lora Mora di Casa Argentina, la sede culturale dell’Ambasciata Argentina a Roma, fino al 31 ottobre 2024. Nell’esposizione, l’artista argentino, nato a Rosario, invita il pubblico a esplorare il cuore come epicentro dell’esperienza umana e artistica. Attraverso le sue opere, Pagliano cerca di trascendere l’intelletto e la ragione per connettersi con quel “timone, carburante, vela e risposta” che risiede in ogni individuo. Ci dice di più lo stesso artista, in questa intervista.
Qual è stata la tua prima esperienza significativa con l’arte?
«La prima volta che l’arte ha avuto un impatto profondo nella mia vita è stata quando ho scoperto la sua capacità di trascendere il personale e l’emozionale. Mi ha permesso di passare dall’angoscia a uno stato di introspezione, utilizzando quella permeabilità offerta dalla pittura per trasformarla nel mio stile di vita. L’arte mi ha salvato, e credo fermamente che possa salvare tutti noi».
Descrivi il tuo stile come quello di un “selvaggio sensibile”. Potresti approfondire questo concetto?
«Mi considero un selvaggio sensibile perché la mia arte nasce da una combinazione intensa di istinto ed emozione. Non seguo regole prestabilite né mi rinchiudo in stili specifici. Gli elementi che caratterizzano il mio lavoro sono la sensibilità e la percezione del sentire umano. Dipingo le mie proprie sensazioni e, a volte, cerco di sperimentare le emozioni degli altri, entrando in un gioco di empatia ed esplorazione emotiva»
Quali sono le tue principali fonti di ispirazione?
«L’amore e il dolore sono le mie muse costanti. Anche i bambini giocano un ruolo fondamentale nella mia ispirazione; la loro visione pura e senza pregiudizi del mondo è qualcosa che valorizzo enormemente. Non posso fare a meno di dipingere; è una necessità vitale come respirare. Per me, la vita e la morte sono due facce della stessa medaglia, e entrambe alimentano la mia creatività».
Hai menzionato che ti consideri un artista “cosmogonico”. Come influisce questo nel tuo lavoro e nella tua relazione con la cultura argentina?
«La mia filosofia è cosmogonica; mi vedo come parte del cosmo, non appartenente a un luogo specifico. Non mi limito da frontiere culturali o nazionali. Sono anni che non mi lascio influenzare dall’arte argentina né da quella di qualsiasi altra parte del mondo. Preferisco mantenermi libero da influenze per esplorare la mia propria connessione con l’universo. Questo mi permette di creare da un luogo autentico e universale».
Raccontaci del tuo processo creativo. Come dai forma alle tue idee?
«La mia giornata inizia presto; porto mio figlio a scuola e poi mi immergo nel mio studio. Credo che tutto sia già creato nel cosmo. Il ruolo dell’artista è ordinare quegli elementi preesistenti, dar loro forma e plasmarli su una tela, una scultura o una composizione musicale. È come sintonizzarsi con una frequenza universale e tradurla in arte. Ogni opera è un atto di selezione e organizzazione di pezzi che fluttuano nell’universo, in attesa di essere scoperti».
Lavori molto con i bambini e menzioni che sono una grande influenza. Perché è così?
«I bambini hanno una sensibilità selvaggia e un’autenticità che gli adulti spesso perdiamo. Non hanno pregiudizi né temono il risultato; semplicemente creano. Lavorare con loro mi permette di riconnettermi con quella purezza creativa. Tra gli artisti riconosciuti, ammiro Picasso e Joan Miró, che sono riusciti a catturare quell’essenza infantile nelle loro opere. Ma, senza dubbio, sono i bambini che mi ispirano di più».
Come percepisci lo stato attuale dell’arte contemporanea?
«L’arte contemporanea è un mix eclettico di stili e proposte; è come un’insalata con ingredienti di ogni tipo. Ci sono opere che pretendono di essere innovative, ma in realtà tutto si ripete. Ciò che importa è la scintilla divina che ogni artista apporta nel processare e materializzare quelle idee universali. Anche se c’è molto ‘arte spazzatura’—arte senza sostanza o valore—ci sono anche proposte molto interessanti. Credo sia vitale sostenere gli artisti viventi e smettere di focalizzarci tanto su quelli già scomparsi. C’è un enorme potenziale nelle nuove generazioni che merita di essere riconosciuto ora».
C’è un tema ricorrente nelle tue opere o preferisci mantenerti in costante cambiamento?
«Non mi lego a temi specifici perché la mia arte è un’espressione del presente continuo. Ciò che sento e penso oggi può cambiare domani. Non voglio ingannare me stesso né gli altri attaccandomi a un’idea fissa. Preferisco mantenermi aperto e in continua evoluzione, permettendo a ogni opera di riflettere il mio stato attuale dell’essere».
Hai avuto esposizioni in luoghi emblematici in tutto il mondo. Ce n’è una che spicca particolarmente per te?
«Una delle esposizioni che mi ha segnato di più è stata quella al Consolato Argentino a New York. La società newyorkese ha un livello di valorizzazione dell’arte davvero ispiratore. Essendo una città cosmopolita, ha attirato gente da tutto il mondo. Lì ho sentito il vero valore dell’individualità; non importa se sei famoso o no, ciò che conta è quello che apporti al mondo dell’arte. Se sei bravo, ti accompagnano sin dagli inizi, apprezzando il tuo lavoro per quello che è».
Come ha influenzato la tecnologia nella tua arte e nella sua diffusione?
«La tecnologia è stata uno strumento inestimabile per espandere la mia arte oltre le frontiere fisiche. Mi permette di connettermi con persone e culture che altrimenti sarebbero inaccessibili. Ho lavorato in progetti di arte digitale, il che ha le sue sfumature. Ben utilizzata, la tecnologia è un’alleata potente; mal utilizzata, può essere controproducente. Tuttavia, nulla sostituisce l’esperienza di dipingere con tutti i sensi: l’odore dei materiali, la texture sotto le dita, il suono del pennello sulla tela».
Quali progetti futuri hai in mente?
«Il mio sogno è trasformare il mondo in un’opera d’arte vivente. Voglio dipingere in ogni angolo del pianeta e collaborare con artisti di diverse discipline e culture. Invito tutti i creatori a unirsi in questo sforzo collettivo, senza competere, ma condividendo e arricchendo il mondo attraverso l’arte. Credo che insieme possiamo rendere il pianeta un luogo ancora più meraviglioso».
Qual è il miglior consiglio che hai ricevuto nella tua carriera e che condivideresti con altri artisti?
«ll miglior consiglio che ho ricevuto viene da Enrique Santos Discépolo, uno scrittore e poeta argentino. Quando gli chiesero quale consiglio darebbe, rispose: ‘Il miglior consiglio è non dare consigli’. Questa frase mi ha sempre accompagnato. Non si tratta di seguire le orme degli altri, ma di trovare il proprio cammino. Accetto raccomandazioni e imparo dalle esperienze altrui, ma in ultima analisi, seguo la mia bussola interna. Mio figlio Juan mi ha insegnato molto sull’umiltà, il lavoro e la gratitudine, e questo è qualcosa che valorizzo profondamente».
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