Un grande Polke è sbarcato a Venezia

di - 4 Maggio 2016
In Germania è considerato uno degli artisti più importanti degli ultimi cinquant’anni. Mentre in Italia lo conoscono in pochi, nonostante abbia molto amato e frequentato il nostro Paese. A celebrare la statura e la ricerca di Sigmar Polke (1941-2010) ci ha pensato la fondazione Pinault, con una mostra esemplare curata da Elena Geuna e Guy Tosatto, che si dispiega in maniera chiara e puntuale nelle sale di palazzo Grassi, dove le opere di Polke sono presentate à rebours, a partire da Axial Age, il ciclo monumentale presentato alla biennale di Venezia nel 2007 dedicato all’età assiale, il periodo che va dall’800 al 200 a.c., definito dal filosofo Karl Jaspers come un momento eccezionale nella storia dell’umanità.
Le sette tele, presentate nell’atrio di palazzo Grassi, costituiscono una sorta di introduzione all’arte di Polke, della quale contengono molte caratteristiche essenziali: dal rapporto tra pittura, tela e tessuto alla cura per la trasparenza, legata all’uso di colori translucidi, fino alle tematiche filosofiche, scientifiche ed esoteriche che dominano buona parte del suo lavoro.

«Artista onnivoro, noto per le sue collezioni di libri, riviste e ritagli di giornali con errori tipografici, Polke traduce nelle opere il suo interesse enciclopedico e l’eclettismo iconografico delle sue fonti, non indicando nessuna predilezione verso una determinata tipologia», spiega Elena Geuna. Lo stesso enciclopedismo che rendeva molto difficile una corretta lettura dell’antologica “Alibis: Sigmar Polke 1941-2010”, presentata al MoMA nel 2014: le 250 opere allestite in poche sale del museo non permettevano una visione puntuale ed approfondita dell’artista, che in questo caso invece viene esaltata da  un percorso espositivo mai affollato.
Così, nelle sale del primo piano spiccano i cicli realizzati da Polke negli ultimi vent’anni della sua vita come Strahlen Sehen (2007) una serie di cinque opere dipinte ad acrilico su poliestere, che riflettono sulla visione degli astri nel diciottesimo secolo, o ancora di più lo straordinario Hermes Trismegistos (1995) un’opera in quattro parti ispirata ad una delle tarsie marmoree presenti sul pavimento del Duomo di Siena, dove campeggia la figura del padre dell’alchimia, che Polke interpreta attraverso i colori relativi al processo alchemico (nero, bianco, giallo e rosso).

Al secondo piano è esposta la poetica Laterna Magica (1988-1992), con sette scene dipinte sui due lati di una filastrocca inglese del primo Novecento, che ricorda l’apprendistato del giovane Polke presso la fabbrica di vetrate artistiche Derix (1959-1961). Accanto a questi dipinti è ben documentata anche la produzione di immagini di tipo politico, che Polke ha realizzato con la tecnica dei Rasterbilder (una puntinatura grafica ottenuta dipingendo ogni singolo punto) utilizzata dall’artista a partire dagli anni Sessanta, che caratterizza opere provocatorie come Polizeischwein (1986) o di denuncia come Amerikanisch-Mexicanische Grenze (1984) che raffigura il confine tra Messico e Stati Uniti.
Particolarmente pregevole è la sezione dedicata agli esordi dell’artista, che riunisce anche alcune sculture ed installazioni come Kartoffelhaus (1967-1990), la casa di patate che allude alle difficoltà economiche presenti nella Germania del dopoguerra,  presentata alla Biennale di Venezia nel 1980 e preceduta dai primi dipinti di un Polke ventenne tra i quali spiccano Das Palmen-Bild (1964) e Liebespaar (1965), dove l’artista dipinge con un tratto leggero su fondi in tessuto. Infine, una vera chicca è costituita dai film girati da Polke nel 1986, mentre allestiva la sua personale al padiglione della Repubblica federale Tedesca con il progetto Athanor, dedicato all’alchimia. Il curatore del padiglione, Dierk Stemmler, lo definì allora “un trasformatore e contemporaneamente un indagatore”. Trent’anni dopo questa mostra restituisce in pieno la sua personalità complessa, illustrata con una chiarezza davvero esemplare.
Ludovico Pratesi

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