(Un)DISCOVERED ART IN (un)EXPECTED FAIR: è (un)fair un nuovo format di fiera non fiera d’arte contemporanea che sarà proposto per la prima volta a Milano, presso Superstudio Maxi, dal 9 febbraio 2022. Diretta da Laura Gabellotto e Manuela Porcu, (un)fair è giovane e coraggiosa: nata in piena pandemia, ha atteso la fine di un lungo lockdown per presentarsi come ironica negazione del concetto stesso di fiera. Attenta alla sostenibilità, alle pari opportunità e alle nuove tendenze dell’arte contemporanea e del collezionismo, propone nuove modalità di interazione, per coinvolgere e creare nuove generazioni di collezionisti e per supportare il sistema dell’arte, gallerie e artisti che stanno facendo la storia dei nostri giorni.
(un)fair si presenta al pubblico concretizzando una delle sue intenzioni fondanti, ovvero quella di creare uno spazio per nuove relazioni che avvicini all’arte contemporanea un pubblico nuovo e sempre più ampio. Per farlo, abbiamo dato voce ad alcune delle realtà che sostengono e contribuiscono alla crescita del nostro panorama artistico: The Blank Contemporary Art, White Noise Gallery, Nicoletta Rusconi e Madragoa.
White Noise Gallery, ubicata in Via della Seggiola a Roma, stimola continuamente un dibattito sul futuro attraverso lo sguardo dei più promettenti artisti italiani e internazionali. I suoi fondatori, Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti sono concordi nel condurre ricerca e sperimentazione, cardini della loro attività, oltre le mura della galleria, verso nuovi mercati e nuovi contesti, abbattendo le barriere geografiche e culturali.
«Quando abbiamo deciso di aprire lo abbiamo fatto seguendo il modello dei grandi galleristi del passato, in grado di dettare una direzione piuttosto che non seguirne una passivamente. Per noi è sempre stato fondamentale che la galleria rispecchiasse la nostra visione e quindi posso dire che il principale aspetto a cambiare siamo stati noi. Il salto del 2018 ha rispecchiato la nostra necessità di sancire un nuovo inizio che riflettesse una differente maturità e consapevolezza; come una crisalide che abbandona il proprio guscio per assumere una nuova forma. Quello che è rimasto sempre identico nel tempo è la dedizione che mettiamo nell’assecondare la nostra indole di curatori prestati al mondo delle gallerie».
«Innanzitutto bisogna partire dalla doverosa premessa che oggi, in Italia, alle gallerie come la nostra è affidato in toto il compito di formare la nuova classe di artisti. Il supporto delle istituzioni è infinitamente insufficiente all’alimentazione dell’ecosistema dei giovani artisti che escono ogni anno dalle accademie. Essere una galleria di ricerca oggi vuol dire rendersi conto di questo ruolo e cercare di resistere quanto più possibile contro un sistema che non aiuta e che anzi, spesso, ostacola apertamente. Le soddisfazioni che traiamo dal nostro lavoro si muovono quasi esclusivamente sul piano culturale a scapito di un profilo economico che ha molto più in comune con il mecenatismo che con l’imprenditoria».
«Il nostro collezionismo è in maggioranza straniero e quasi totalmente non proveniente dalla nostra città. In genere possiamo dire che il collezionismo italiano è molto più sensibile di quello straniero a logiche salottiere e legate all’idea di arte come bene d’investimento. Questo fenomeno è stato molto accresciuto dal fiorire negli ultimi anni di incredibili strumenti in grado di aumentare la consapevolezza del collezionista (social networks, piattaforme di condivisione di risultati d’asta, etc.). Il risultato è che oggi la distanza che c’è fra quelli che potremmo definire “collezionisti professionisti” e i collezionisti occasionali è siderale. Per fortuna esistono ancora privati con una preparazione e un livello di conoscenza superiore alla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori. In questo frangente torna utile il paragone con la finanza: abbiamo tutti degli amici che giocano in borsa e snocciolano, durante i pranzi, dati sulle cripto-valute ma che spesso non sarebbero in grado di distinguere un prodotto strutturato da un titolo di stato. I lavori di un giovane artista sono purtroppo l’equivalente finanziario di un’azione di una start-up sulla sostenibilità nata in un garage di Calcutta: la compri se vuoi supportare il business, non se vuoi speculare. Quando presentiamo il lavoro di giovani artisti fuori dai nostri confini la dinamica è semplice: il collezionista viene, si prende del tempo per studiare e verificare che il lavoro sia concettualmente solido e poi torna ed acquisisce l’opera senza chiedersi in quali altre gallerie lo abbia visto o in quali collezioni di trend sia esposto».
«Il principale aspetto che teniamo presente quando scegliamo una fiera cui applicare è il suo target di mercato. Storicamente le fiere sono state per noi il driver principale per l’apertura di nuovi mercati anche nel caso di fiere che si svolgono nello stesso paese ma che avevano proposte molto diverse. Ovviamente l’idea che abbiamo circa il pubblico che incontreremo definisce la tipologia di opere che decidiamo di portare sia in termini di filone di ricerca che di fascia di prezzo. Ciò detto, raramente capita di azzeccare proposta al primo colpo ed è sempre buona norma aggiustare il tiro dopo ogni partecipazione. Occorre stare attenti a non proporre stand che siano sempre identici ma neanche troppo diversi fra loro per non spiazzare i collezionisti che tornano a trovarti. Per quanto riguarda le fiere, oggi è più che mai indispensabile che adeguino il loro modello e la loro proposta in base a scelte identitarie forti. L’Italia è curiosamente uno dei paesi con il sistema più debole eppure possiamo contare un numero di fiere “main” superiore a quasi tutti gli altri. In questo scenario di super-competizione sopravvivranno solamente le realtà con un’identità precisa e definita; con obiettivi realistici e commisurati al contesto socio-economico in cui si svolgono. La fiera più importante del paese si svolge in un contenitore urbano che si muove unito e solido nella stessa direzione e, non a caso, è l’unica fiera che si può permettere di sopravvivere senza l’aiuto del mercato storico. Una buona idea sarebbe quella di lavorare a una fiera che aiuti a scardinare nella mente dei collezionisti l’idea che il prezzo sia l’unico driver di giudizio per un lavoro. Non a caso in Italia abbiamo mille fiere principali e pochissime collaterali all’altezza; servirebbe qualcosa come Gran Palazzo o Dama, caratterizzato da grande ricerca ma libero dal conflitto d’interesse derivante dall’essere gestito da altre gallerie».
«Cerchiamo di tenerci quanto più possibile aggiornati sulle nuove tendenze, non solo studiando continuamente il lavoro degli artisti ma soprattutto cercando di capire come evolve il contenitore di riferimento. Riteniamo che focalizzarsi solo sulla ricerca artistica tralasciando il contesto sia poco lungimirante e generi uno scollamento insanabile fra i lavori e la realtà. Quando i Secessionisti scrivevano che ogni epoca aveva la sua arte intendevano esattamente questo ed in un momento storico come quello attuale, caratterizzato da una compressione inverosimile dei tempi, riproporre una ricerca iper-concettuale sarebbe semplicemente anacronistico. L’arte non deve certo banalizzarsi per avvicinarsi ad un contesto culturalmente povero come quello attuale ma, di contro, non può neanche fossilizzarsi su linguaggi e metodologie che appartengono ad ere geologiche passate. Non avrebbe semplicemente senso proporre oggi un happening in un mondo che accetta meme e gif come nuovi media artistici. Per fare questo la galleria è sempre pronta a cambiare, anche radicalmente, in modo da essere un contenitore sempre adatto per le istanze che riteniamo più significative. Cercheremo sempre di mantenere la nostra cifra fatta di contatto umano, di concretezza e di passione. Continueremo a mettere la faccia su tutto quello che faremo, a difendere le nostre idee e a essere felici quando qualcuno ce ne proporrà di nuove. Questo è quello di cui, secondo noi, ha bisogno il collezionismo consapevole e questo tipo di collezionismo è quello di cui tutti abbiamo bisogno per sopravvivere».
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