Como investe nel sogno del futuro basato sul ritorno alle radici di cent’anni di visioni di città, in bilico tra utopia e razionalismo, partendo dall’illustre cittadino Antonio Sant’Elia (1888-1916), architetto futurista che nel 1914 esponeva alla mostra milanese di “Nuove Tendenze” progetti avveniristici di Città Nuova, ribellandosi ai modelli preesistenti, immaginandola come una macchina della visione e icona del progresso, pervasa dallo spirito innovativo e dinamico che la contraddistingue. Nel 1910, in Italia in seguito alla rivoluzione industriale, il movimento Futurista, teorizzato da Filippo Tommaso Marinetti diventa il megafono del nuovo che avanza, mentre Umberto Boccioni, con il dipinto dedicato a Milano Città che sale (1910), iconizza la città come piattaforma della modernità. I progetti dell’architetto comasco, scomparso troppo presto per realizzare qualcosa, anticipano gli skyline di film e videogames contemporanei.
Sant’Elia, definito da Ragghianti “il Bibbiena del Duemila”, cent’anni fa sognava città del futuro e immaginava ciò che altri architetti hanno realizzato nei decenni successivi: metropoli sempre in movimento.
Ora, a Villa Olmo, sullo sfondo di un paesaggio lacustre mozzafiato è in corso la mostra “La città nuova oltre Sant’Elia-1913 cento anni di visioni urbane 2013” a cura di Marco De Michelis, docente allo IUV di Venezia di architettura e di taglio interdisciplinare con sezioni dedicate all’arte, al video e al cinema, promossa dall’assessore alla cultura Luigi Cavadini, studioso del razionalismo comasco, organizzata dal Comune di Como con l’ausilio di diversi sponsor privati anche locali. (Catalogo Silvana editoriale)
Como si rilancia nel segno della cultura e non celebra il passato ma guarda al futuro, investendo in una mostra che declina il tema della città e indaga le sue possibili evoluzioni urbanistiche. L’esposizione di 100 opere, alcune delle quali inedite, tra dipinti, disegni, modelli, filmati, installazioni di artisti, architetti, registi, inizia nell’atrio della neoclassica Villa Olmo, dove si trova un plastico di una città concepita a forma di cornucopia, intitolata Intrapolis di Walter Jonas (1960-65). Si prosegue il percorso espositivo all’insegna della sinestesia tra urbanistica e visione con il video di Lucia Moholy-Nagy, Berlin, proiettato in loop tratto dal fotomontaggio di Laszlo Moholy Nagy del 1929.
Nella prima parte sono ospitati dodici progetti del 1914 per La Città Nuova, moderni grattacieli, collegati da ponti di ferro e viadotti, centrali elettriche e stazioni di Antonio Sant’Elia, dalle forme razionali ispirate all’architettura industriale americana e a quella di Otto Wagner e di Joseph Maria Olbrich nell’ambito della Secessione Viennese. I suoi edifici stupiscono per arditezza architettonica, si ergono al di sopra di reti di trasporto a più livelli e non ha precedenti un progetto che comprende diversi flussi di traffico in un’unica monumentale stazione. Sono innovative le sue anomale prospettive ed edifici accentuati da contrafforti e facciate a gradoni, ascensori esterni, funicolari. Il cinema eredita e sviluppa i suoi grattacieli dalle linee pulite, leggeri ed elastici come si vede nelle scenografie di Metropolis, film cult di Friz Lang (1927), proiettato in mostra in una piccola sala. Completano questa sezione una serie di bozzetti realizzati per la scenografia del suddetto film, disegnati da Erich Kettelhhut e Otto Hunte e altri paesaggi urbani. Tra gli altri spiccano quelli di Mario Sironi e un incastro post-cubista di Fernand Léger e da non perdere Beata solitudo, sola beatitudo (1908) di Umberto Boccioni.
Nel 1927, Luis Bunuel dichiarò: «Il cinema sarà l’interprete dei più audaci sogni dell’architettura», infatti numerosi film sono ispiratati a Metropolis, dalla serie dedicata a Batman, a Blade Runner (1982), Matrix (1999), Sin City (2005) fino a Prometheus (2012).
Dopo le visioni, si passa nella sezione che ospita progetti razionalisti di Le Corbusier, architetto e pittore, della La ville contemporaine de trois milions d’habitants, messa a punto con Pierre Janneret, presentata al Salon D’Automne di Parigi nel 1922, in cui utopistici moduli abitativi funzionali fanno convivere pacificamente e felicemente abitanti stipati in edifici-falansteri colossali. Proseguite il percorso espositivo e incontrate un plastico di una spianata di verde di Broadacre City di Frank Lloyd Wright, del 1959, tra i progetti più importanti del XX secolo. Vale il viaggio a Como solo per vedere la videoinstallazione composta da quattro cicli di immagini di Jan Tichy, Things to Come,1936-2012, ispirato a Moholy Nagy. Sorprende La piccola città spaziale (2012): un’installazione ambientale che occupa un’intera stanza, composta da scatoloni sostenuti per aria da fili, dell’architetto ungherese Yona Friedman e di Jean Baptiste Decavèle, che indica il cielo come possibile piattaforma di sviluppo per le città volanti del futuro, immateriale e intercambiabile. Non si dimentichi che il tema utopia e architettura a Como, si sviluppa nel laboratorio razionalista tra gli anni Venti e Trenta, capitanato da Giuseppe Terragni, autore della nota Casa del Fascio, considerata un modello insuperabile di purezza e funzionalità formale da Libeskind e altri architetti contemporanei.
Lasciate alle spalle i progetti di architetti utopisti degli anni Sessanta, alcuni dei quali critici nei confronti del consumismo e dell’ideale fordista, come il progetto futuristico di Plug-in City (Città connessa) di Peter Cook, guru degli Archigram (che in Italia fece una rapida comparsa nel 1968 in una mostra alla Triennale chiusa dalla contestazione giovanile) e alcuni progetti del gruppo sessantottino Achizoom, noti per la loro feroce critica al capitalismo dalle idee radicali intorno a un’altra visione di città e società, che oggi definiamo eco-sostenibile. Fa un certo effetto rivedere il Monumento Continuo. Nel deserto del Sahara (1969) e altri utopistici progetti del gruppo fiorentino Superstudio. Saltate nell’era informatica, nella sala successiva, con la videoinstallazione RMB:City. A Second Life Plannig (2007-2011), dell’artista cinese Cao Fei che rappresenta un collage di città-isola flottante, fantastica pop e surreale insieme, in cui si riconoscono le architetture di Foster, Koolhaas, Hergoz & Meuron.
L’architettura reinventa se stessa e sviluppa città future sulle conoscenze del passato e sulle certezze del presente, nel monumentale plastico di Constant Nieuwenhuys, il pittore olandese che tra il 1957 e il 1972 lavorò come architetto, dedicandosi a un unico e vasto progetto: un singolo edificio grande quanto l’intero pianeta, dal titolo promettente New Babylon (1967) in cui desiderio e funzione non si intrecciano mai. Godetevi la città volante in plexiglass trasparente di Carsten Holler, ispirata a un progetto del 1928 di tesi di laurea di Georgi Krutikov, architetto costruttivista, tra i primi a profetizzate scenari urbani in cui arte e architettura possono strutturare relazioni e città volanti, attualmente sperimentate da Tomas Saraceno. Chiude la mostra, Pizza City (1991-96), istallazione cuneiforme di circa 8 metri che plasma una città in miniatura, composta da 20 moduli collocati su tavoli uniti fra loro di Chris Burden, l’artista americano attivo negli anni Settanta, conosciuto per Shoot (1971), la perfomance in cui si fece sparare da un amico con un fucile ad un braccio. La sua installazione concepita con spirito multietnico rispecchia il multiculturalismo contemporaneo, mescolando edifici ed altri elementi tradizionali della città europea, con quelli di foggia orientale, nord–africana, americana e rappresenta micro-città come un fantastico presepe del XXI secolo. Dopo la visita a Villa Olmo, andate nella Pinacoteca Civica, dove al secondo piano sono esposti 50 disegni di Antonio Sant’Elia di proprietà del Comune di Como, da anni sepolti negli archivi, patrimonio di inestimabile valore che è stato informatizzato e presto sarà attivato un sito accessibile a tutti.
Questa mostra è la prima tappa di un progetto concepito per il prossimo triennio, che terminerà nel 2015 in occasione dell’Expo di Milano, quando scopriremo se le nostre attuali configurazioni di città nuove e progetti legati allo spazio urbano resteranno utopie.