Un’utopia piccola piccola

di - 23 Luglio 2012
Nel 2013 Prada compie cent’anni, ma la festa non sarà nella nuova sede della Fondazione a Milano, in Largo Isarco, firmata dall’architetto olandese Rem Koolhaas, il progetto colossale non ancora terminato, capace di trasformare i 17mila metri quadrati di spazi della ex distilleria di inizio Novecento, nel nuovo centro di arte contemporanea. L’obiettivo Prada Koolhaas non sarà tanto creare un nuovo grande magazzino d’arte, o uno spazio industriale tout court, e neanche l’ennesimo white cube: «La bellezza del progetto di Largo Isarco è che non impone soluzioni univoche – sottolinea Rem Koolhaas – il complesso presentava un’insolita varietà di condizioni spaziali. Fortunatamente la qualità dell’oggetto preesistente non era così strabiliante da impedire alterazioni. Abbiamo potuto interpretarlo come un catalogo di tipologie, aggiungendo quello che mancava a un inventario già molto ricco».

Intanto, mentre si aspetta l’inizio degli scavi previsti il prossimo autunno, la Fondazione Prada non sta ferma. Investe a Venezia, a Ca’ Corner, dove ha inaugurato da poco “The Small Utopia. Ars Multiplicata”, curata da Germano Celant e visitabile fino al 25 novembre. Un sogno cominciato nel XX secolo, lungo 75 anni, raccontato da più di 600 opere raccolte nelle sale del palazzo affacciato su Canal Grande, senza seguire un preciso percorso e nemmeno un ordine cronologico, che racconta la trasformazione dell’oggetto artistico per diventare accessibile al grande pubblico, e pronto per immettersi nel processo dell’industrializzazione.

Per Celant, quella dell’ars moltiplicata rimane una “piccola utopia” che ha sedotto i movimenti del XX secolo, dal Futurismo al Suprematismo e al Costruttivismo Russo, senza escludere Neoplasticismo, Nouveau Réalisme, Optical, Fluxus, Dada, Surrealismo, alla Pop Art, ma l’elenco potrebbe continuare a lungo. È una mostra capace di far riflettere e di sviluppare nuove prospettive sulle complesse relazioni tra l’artista e la produzione, distribuzione e diffusione del suo lavoro.

Si parte dal secondo piano del palazzo con le tre Boite en valise di Marcel Duchamp, la valigetta creata per diventare un piccolo museo portatile. Non lontano seguono altre scatole del Nouveau Realisme, con Arman, Klein, Manzoni, Rotella, Spoerri. E dopo queste, quelle di Oldenburg e Warhol saranno l’esempio della scatola come semplice oggetto quotidiano, facile da incontrare nell’anonimo supermercato. Ma  Intuition di Beuys, in legno, rimane un grande ideale: produzione illimitata a pochi marchi, per diventare un’opera possibile per tutti, oggi solo un’utopia.

L’importante per gli artisti era saper creare per poi moltiplicare, come nei servizi di Suetin, nel piatto di Kandinsky, nelle tazze di Malevich, negli scacchi di Hartwig, nel tessuto per arredare case di Anni Albers, oppure con l’abito a righe bianche e nere di Getulio Alviani, positivo e negativo, l’abito Op capace di diventare lui stesso produttore di immagini. Tanti esempi di oggetti che nascono per trovare una funzione e per raggiungere grandi numeri, aggiungendo però un’altra scommessa: mantenere valore e indipendenza. Sparito il concetto di unicità, nei multipli si presenta il problema di come unire l’identità dell’opera e la sua spinta a voler esser alla portata delle masse, senza rinunciare però alla qualità, anche nella produzione seriale.

Si tratta di processi che non riguardano solo gli oggetti, ma anche il territorio immateriale del sonoro e del cinema, analizzato con acuta profondità nelle sale curate da Antonio Somaini e Marie Rebecchi. Che mostrano una interessante selezione di lavori dove emerge come già dagli anni Venti l’immagine e il suono influenzino l’esperienza sensoriale. Hans Richter, Làzlò Moholy-Nagy, Viking Eggeling, Walter Ruttmann, Oskar Fischinger sperimentano e, mentre si guardano, sorprendono ancora.

La vera esplosione dell’arte moltiplicata arriverà più tardi con Warhol e Oldenburg. Ormai da tempo l’artista è una specie di profeta etico che pensa alle relazioni e alle reazioni del suo pubblico, attento a come far circolare le sue idee e che a volte vuole che le sue opere rispondano alla domanda del mercato. Eppure le centinaia di opere confermano che trovare un equilibrio capace di soddisfare valore e mercato è proprio la piccola utopia che si ripete e rimbalza tra oggetti, mobili, libri, riviste giocattoli, nelle grandi sale di Ca’ Corner.

Intanto nel palazzo, attualmente del Comune, continuano i restauri per riportare l’intero stabile alla piena agibilità del pubblico. Fondazione Prada, usufruttuaria dello stabile, lo gestirà per almeno altri sei anni in seguito ad un accordo con la Fondazione Musei Civici di Venezia. Nel frattempo il Comune avrebbe deciso di mettere in vendita Ca’ Corner per una cifra superiore ai 40 milioni di euro, e l’acquisto da parte della Fondazione Prada sembra una possibilità, piuttosto che un’utopia.

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