Quali sono stati i criteri di selezione? E quali sono i medium più diffusi?
Abbiamo pensato a quali artisti europei abbiano saputo interpretare tale corrispondenza, da diverse prospettive, compresi lavori video privi di sonoro, in accordo con le ricerche condotte dall’avanguardia musicale della seconda metà del Novecento, da Cage in poi. Le opere scelte rappresentano tutte le declinazioni possibili oggi esistenti nel campo delle immagini in movimento: proiezioni a un canale, a più canali, videoinstallazioni con monitor, film in 16 mm, videosculture ecc.
A quanto ammonta il budget richiesto per l’organizzazione? Quali sono state le spese più significative?
Il finanziamento ricevuto dalla Comunità europea ammonta a circa centomila euro, più le quote dei singoli paesi partecipanti. Direi che gli impegni di spesa maggiori hanno riguardato l’attrezzatura tecnica altamente sofisticata richiesta da opere di artisti di fama internazionale, quali Salla Tykkä, David Claerbout, Steve McQueen, e dallo studio di design che ha ridisegnato lo spazio espositivo, per evitare interferenze visivo-sonore tra le diverse installazioni e permettere una fruizione soddisfacente.
In che modo le opere che raccontano il proprio paese di origine si adatteranno ad un nuovo spazio e a un nuovo pubblico?
Sarà lo spazio espositivo ad adattarsi alle opere che, oltre a riflettere le poetiche dei singoli artisti, propongono per la prima volta al pubblico israeliano una visione ampia e diversificata della produzione video europea contemporanea. Pur nella consapevolezza che il pensiero artistico è patrimonio universale.
La mostra è divisa in sezioni (“Rituals”, “States of Mind”, “Landscapes”, “The Body’s Memory”). Da che cosa è stata dettata questa scelta?
In realtà la divisione in sezioni è stata una scelta successiva, decisa dopo l’incontro con Mordechai Omer, il direttore del Tel Aviv Museum of Art, il quale ci ha spiegato l’importanza della missione educativa del museo. Abbiamo condiviso la sua visione, e la suddivisione delle opere in sezioni corrispondenti ad altrettanti temi aiuterà senz’altro il pubblico a orientarsi lungo il percorso espositivo. È evidente che i criteri critici hanno sempre un certo grado di arbitrarietà e che ogni singolo lavoro possiede un potenziale artistico che va al di là delle griglie interpretative adottate.
Nella sezione “Quotations” ci sarà anche Francesco Vezzoli, unico artista italiano in mostra, con l’opera An Embroidered Trilogy…
Ogni Paese ha partecipato con un solo artista. Abbiamo scelto il lavoro d’esordio di Vezzoli perché una delle caratteristiche che distingue la videoarte oggi è l’esplicito e costante riferimento all’immaginario cinematografico e alle varie forme della cultura di massa. In questo senso in An Embroidered Trilogy Vezzoli ha formalizzato in modo convincente e compiuto aspetti significativi della società contemporanea.
Dopo l’esperienza israeliana, la collettiva potrà essere riproposta altrove?
Sarei molto contenta se la mostra potesse essere ospitata in un museo europeo. Ne abbiamo parlato con Angelo Gioè e spero che si trovi un’altra sede.
Il ruolo attivo assunto dall’Unione Europea nella promozione dell’esposizione aggiunge un significato politico-diplomatico rilevante…
La decisione della Ue di finanziare e promuovere la mostra sottolinea non solo una comune volontà di cooperare in campo artistico, ma anche di costruire un dialogo politico. Sono convinta che il linguaggio dell’arte può contribuire ad affermare un messaggio di pace e di conciliazione che supera i confini e fa appello alla coscienza di tutti.
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Living Tel Aviv
a cura di mattia brunello
*articolo pubblicato su Exibart.onpaper n. 55. Te l’eri perso? Abbonati!
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