Lo schianto di una bomba e uno dei più folgoranti cicli pittorici di tutti i tempi, ammirato da generazioni di artisti che vi hanno riconosciuto il tocco divino del genio, si vaporizza in una nuvola di polvere e calcinacci, colmando il terreno di detriti come fosse un cantiere di periferia. Era l’11 marzo 1944, data maledetta. E quei capolavori, disintegrati dal lampo, erano il ciclo di affreschi di
Antonio Vivarini,
Giovanni D’Alemagna,
Bono da Ferrara,
Ansuino da Forlì,
Nicolò Pizzolo, ma soprattutto di
Andrea Mantegna.
Da allora molti ci hanno messo le mani tentando di salvare il salvabile, ma quegli oltre 80mila frammenti – molti grandi come un coriandolo o un francobollo – erano lì, muti e impenetrabili, come una sfida che attendeva il campione degno di coglierla. Il guanto l’hanno raccolto i tecnici del Dipartimento di Ingegneria elettronica dell’Università di Padova, Domenico Toniolo e Massimo Fornasier.
Dopo un attento studio, ecco l’idea di applicare un algoritmo dal nome impronunciabile: anastilosi informatica. A lui la missione di compiere il miracolo. Come? Fotografando tutti i frammenti, scansendoli e inserendo i dati nel computer. C
ome nel lab di Csi, il cervellone, utilizzando la “formula magica”, ha poi fatto girare le immagini sulla riproduzione dell’affresco cercandone la posizione originaria, come se stesse esplorando il database alla ricerca di riscontri fra impronte digitali.
Trovata la corrispondenza, ecco che il pezzo era “tornato a casa”. Così, frammento dopo frammento, ben 5136 “tessere” hanno ritrovato il loro posto nel “mosaico” e sono state “incollate” con la malta – dopo un lavoro certosino di assottigliamento, consolidamento, stuccatura e velinatura – su pannelli di Aerolam, materiale usato per le scocche degli aerei. Fatica estrema. Compiuta con onore, oltre che dal Laboratorio Mantegna di Toniolo e Fornasier, dallo studio R&S Engineering di Claudio Rebeschini e Andrea Schiavon e dai restauratori coordinati da Gianluigi Colalucci e Carlo Giantomassi. E grazie al sostegno della Fondazione della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
Degli affreschi originali, ne sono “rinati” un buon 30 per cento. Di più difficilmente si potrà fare. La parete sud – quella con la saga di San Cristoforo – era già stata ultimata nel 2006 e il lavoro documentato dal corposo catalogo edito da Skira. La parete nord, invece, finora era rimasta bianca, gli affreschi d’un tempo proiettati in una sorta di
trompe l’oeil tecnologico.
Anche i nove pannelli col martirio, la predica e il giudizio di San Giacomo sono tornati al loro posto. E il 30 marzo, consegna dei lavori, il miracolo si è compiuto.