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02
aprile 2009
restauri_fiere Il restauro al tempo della crisi
restauri
Bellezza, arte, conservazione: concetti superflui viste le ristrettezze alle porte? A Ferrara, l’ormai tradizionale Salone ha provato a dare la sua risposta. Puntando sulla tecnologia...
Cos’è il restauro se non il momento in cui si riconosce, dell’opera d’arte, la consistenza fisica e il valore estetico e storico per tramandarli al futuro? Parafrasando Cesare Brandi, fondatore dell’Istituto superiore (ex Regio Centrale) per la conservazione e il restauro, ecco il senso della conservazione del bello. Da allora a oggi il dilemma è sempre quello codificato nell’Ottocento, e mai tutto sommato superato se non per sopraggiunte migliorie tecniche: restauro storico (con ricostruzione in stile di ciò che manca) o filologico (ripristino di quel che c’è, mantenendo riconoscibile e distinto l’intervento)? Lasciare, insomma, tutto com’è dopo aver salvato il salvabile oppure cambiare tutto perché nulla cambi?
Pazienza quando si tratta di opere minori. Ma quando l’attenzione si sposta sui grandi capolavori, ecco accendersi i riflettori e aprirsi il fuoco incrociato delle polemiche. Chi non ricorda le critiche di ArtWatch International, presieduta dal defunto James Beck, contro l’intervento sulla Cappella Scrovegni o sul David di Michelangelo? Insomma, quello del restauratore – poco riconoscibile, poco pagato, fuori dai salotti e dai giri che contano – è un mestiere duro. Ma così essenziale, per un Paese che come il nostro ospita il 90 per cento delle opere d’arte, da far rischiare, in caso di estinzione, la catastrofe.
A Ferrara, il Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali, che ha chiuso i battenti la scorsa settimana, ha riportato d’attualità ciò che, in tempi di tagli alla cultura e di crisi, all’ordine del giorno non sarebbe di certo. Quattro giornate di eventi per riflettere sulle urgenze, presentare tecnologie e procedimenti, esaminare risultati di interventi recenti. Rilevanti i numeri: 16mila metri quadri divisi in sei padiglioni, 304 espositori, quaranta convegni, 110 incontri tecnici, sei mostre. E ben 28 delegazioni da tutto il mondo.
Fra i tanti spunti forniti da questa 16esima edizione, l’assemblea generale dell’Associazione Italiana Restauratori, workshop, mostre sui risultati dei restauri più interessanti, come Palazzo Litta e i monumenti di Kiev compromessi durante il regime sovietico. E poi focus sugli affreschi “spariti” di Tarquinia, riletti grazie a una nuova tecnica ottica, e tante idee per trasformare un sito da rovina a testimonianza parlante del passato. Ritorna il celeberrimo Arringatore del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, con la sua mano alzata da più di duemila anni. Le sue, sebbene di bronzo, sono caviglie di cristallo. Per rinforzarle sono allora entrati in campo i tecnici del Cnr, dell’Infn, dell’Opificio delle Pietre Dure con i soldi della Regione Toscana nel Progetto St@rt: le migliori tecnologie a stabilire le terapie per salvare questo e altri pazienti illustri. Dopo di lui hanno già l’impegnativa La Resurrezione di Piero della Francesca e L’ultima Cena del Vasari. Ad attenderle, scannerizzazione in 3d, spettroscopie, laser e altre diavolerie super-sofisticate degne di Csi.
Pazienza quando si tratta di opere minori. Ma quando l’attenzione si sposta sui grandi capolavori, ecco accendersi i riflettori e aprirsi il fuoco incrociato delle polemiche. Chi non ricorda le critiche di ArtWatch International, presieduta dal defunto James Beck, contro l’intervento sulla Cappella Scrovegni o sul David di Michelangelo? Insomma, quello del restauratore – poco riconoscibile, poco pagato, fuori dai salotti e dai giri che contano – è un mestiere duro. Ma così essenziale, per un Paese che come il nostro ospita il 90 per cento delle opere d’arte, da far rischiare, in caso di estinzione, la catastrofe.
A Ferrara, il Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali, che ha chiuso i battenti la scorsa settimana, ha riportato d’attualità ciò che, in tempi di tagli alla cultura e di crisi, all’ordine del giorno non sarebbe di certo. Quattro giornate di eventi per riflettere sulle urgenze, presentare tecnologie e procedimenti, esaminare risultati di interventi recenti. Rilevanti i numeri: 16mila metri quadri divisi in sei padiglioni, 304 espositori, quaranta convegni, 110 incontri tecnici, sei mostre. E ben 28 delegazioni da tutto il mondo.
Fra i tanti spunti forniti da questa 16esima edizione, l’assemblea generale dell’Associazione Italiana Restauratori, workshop, mostre sui risultati dei restauri più interessanti, come Palazzo Litta e i monumenti di Kiev compromessi durante il regime sovietico. E poi focus sugli affreschi “spariti” di Tarquinia, riletti grazie a una nuova tecnica ottica, e tante idee per trasformare un sito da rovina a testimonianza parlante del passato. Ritorna il celeberrimo Arringatore del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, con la sua mano alzata da più di duemila anni. Le sue, sebbene di bronzo, sono caviglie di cristallo. Per rinforzarle sono allora entrati in campo i tecnici del Cnr, dell’Infn, dell’Opificio delle Pietre Dure con i soldi della Regione Toscana nel Progetto St@rt: le migliori tecnologie a stabilire le terapie per salvare questo e altri pazienti illustri. Dopo di lui hanno già l’impegnativa La Resurrezione di Piero della Francesca e L’ultima Cena del Vasari. Ad attenderle, scannerizzazione in 3d, spettroscopie, laser e altre diavolerie super-sofisticate degne di Csi.
Fra i metodi di cui si è discusso c’è il Reverse Engineering (RE): in parole povere, si scansiona un’opera e la si trasforma in un modello matematico e dunque in una replica perfetta. Senza toccarla, si ha un quadro dettagliato della “patologia” e si decide l’intervento più indicato. Sotto i riflettori anche le problematiche “salutistiche” ed ecologiche: è possibile, si sono chiesti in un seminario Chimica Verde e Legambiente, ridurre i fattori di rischio per la salute dei restauratori e scongiurare l’impatto ambientale legato all’utilizzo di prodotti di origine sintetica? Sì, basta usarne di origine vegetale, ricavati da materie prime rinnovabili, atossici e a biodegradabilità elevata. Perché non è detto che per restaurare qualcosa si debba compromettere qualcos’altro…
Ma il restauro è prerogativa solo dell’arte del passato? No. E prevenire è meglio che curare. L’incontro curato da Giuseppe Basile ha messo il dito in una piaga aperta ma non ancora in suppurazione: la necessità di studiare i capolavori contemporanei – come ha fatto l’ICR con la collezione lasciata da Burri a Città di Castello – prima del loro degrado e non dopo, quando il danno ormai è fatto. Piccolo problema: i fondi. I tagli operati dalla Finanziaria rischiano, unitamente alla crisi, di far avvizzire uno dei fiori all’occhiello del know-how “made in Italy”. E allora l’intervento dei privati, già peraltro corposo, diventerà l’unica alternativa per non sperperare un patrimonio che non ha uguali al mondo.
In attesa di miracoli congiunturali, godiamocene uno vero: gli affreschi del Mantegna nella Cappella Ovetari di Padova, distrutti durante l’ultima guerra da un bombardamento aereo e rimessi parzialmente insieme. Come un mosaico di francobolli. Sperando che non diventino Gronchi rosa.
Ma il restauro è prerogativa solo dell’arte del passato? No. E prevenire è meglio che curare. L’incontro curato da Giuseppe Basile ha messo il dito in una piaga aperta ma non ancora in suppurazione: la necessità di studiare i capolavori contemporanei – come ha fatto l’ICR con la collezione lasciata da Burri a Città di Castello – prima del loro degrado e non dopo, quando il danno ormai è fatto. Piccolo problema: i fondi. I tagli operati dalla Finanziaria rischiano, unitamente alla crisi, di far avvizzire uno dei fiori all’occhiello del know-how “made in Italy”. E allora l’intervento dei privati, già peraltro corposo, diventerà l’unica alternativa per non sperperare un patrimonio che non ha uguali al mondo.
In attesa di miracoli congiunturali, godiamocene uno vero: gli affreschi del Mantegna nella Cappella Ovetari di Padova, distrutti durante l’ultima guerra da un bombardamento aereo e rimessi parzialmente insieme. Come un mosaico di francobolli. Sperando che non diventino Gronchi rosa.
elena percivaldi
dal 25 al 28 marzo 2009
Salone dell’Arte del Restauro e nella Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali 2009
Ferrara Fiere
Viale della Fiera, 11 – 44100 Ferrara
Info: tel. +39 0532900713; fax +39 0532976997; news@salonedelrestauro.com; www.salonedelrestauro.com
[exibart]