Quest’anno al RomaEuropa Festival viene privilegiato l’emisfero boreale, che consente di mettere a confronto proposte e filosofie interpretative fra le più diversificate. Ma tutte con un denominatore comune: il rapporto tra la memoria e la modernità . E tutte con un terreno di coltura condiviso, il tessuto urbano. Perché più di ogni altro la città è il luogo dove l’istinto al cambiamento e l’esigenza della conservazione si incontrano e si scontrano. Per raccontare questa dicotomia dell’anima vengono coinvolte Tokyo, Shanghai, Pnomh Penh, Singapore, Istanbul, Beirut, Gerusalemme, Ramallah, Roma, Venezia, Stoccolma, Rennes, Parigi, Bruxelles, Anversa, Londra, Montréal, New York e Vancouver.
Alcuni ritorni, come i La la la human steps, questa volta insieme a Édouard Lock, Caterina Sagna, Akram Khan e Sidi Larbi Cherkaoui (che creeranno anche un inedito duo) per la danza, Alessandro Baricco con il suo Moby Dick per la narrazione, e Christian Partos per le arti visive. Ma molto più numerosi sono i debutti.
Il Medio Oriente vede artisti come Idioms film dalla Palestina, un collettivo di videomaker che, insieme al belga Julien Bruneau, cerca un riscatto dalle immagini brutali di una guerra e dei suoi corpi senza vita. E non diversa è l’esigenza di Rabih Mroué, che racconta con ironia un’altra guerra, quella del Libano, la sua patria. L’israeliano Emanuel Gat si cimenta invece nella ricerca di gesti e movenze pure sulle musiche di Franz Schubert e di Igor Stravinskij, opportunamente modificate. Dalla Turchia arrivano le storie di Mustafa e Övül Avkiran, che con il loro 5.sokak tiyatrosu (teatro della 5ª strada), raccontano le vicende dell’Anatolia, in passato terra di grande ricchezza culturale che ha visto lentamente sparire questo suo patrimonio. Ancora da Palestina e Israele il trio composto da Taher Najib, Ofira Henig, Khalifa Natour, che mettono in scena il paradosso di una vita normale dove la normalità è la guerra, e un quotidiano dove l’unica certezza è l’instabilità del vivere.
L’altro Oriente, quello cosiddetto Estremo, inevitabilmente si interroga meno sugli scontri fra popoli e culture, e più sull’identità dell’individuo all’interno di un contesto sociale, identità spesso oppressa da regimi totalitari. E lo fa attraverso la voce dei poeti proibiti di zuhe Niao (il collettivo Niao), da Shangai, o le storie familiari degli artisti cambogiani decimati dal regime dei Khmer Rossi, raccontate da Ong Keng Sen. Ma anche con le composizioni musicali legate alla cultura popolare del suo paese del cinese Tan Dun, autore delle musiche del film La tigre e il dragone, e con gli incontri/scontri generazionali dei giapponesi Setsuko Yamada, Ikuyo Kuroda, Sakiko Oshima e Naoko Shirakawa, Akira Kasai, Kota Yamazaki, Hiroaki Umeda, i quali danno vita al J-Dance 07 special edition. Sempre made in Japan sarà l’evento finale, Chambara. The legend of the sword, dove i tamburi giapponesi e le katane offriranno un saggio della valenza estetica e spettacolare delle antiche arti marziali.
Gli occidentali, distribuiti sui due continenti, puntano invece più che altro sulla sperimentazione pura. Come quella di Paul-André Fortier, da Montréal, che con il suo 30X30 danzerà a piazza San Lorenzo in Lucina per trenta giorni, e per trenta minuti al giorno, al suono di tutto quello che passerà da quelle parti. Sempre da Montréal, l’Electra festival presenta RAY_XXXX e Jason Lewis’s Cityspeak, performance audio-video per celebrare il connubio fra musica e arti visive, mentre il gruppo di dj Birdy Nam Nam e il collettivo ZUR (Zone Utopiquement Reconstituée/ zona ricostituita utopicamente), attraverso l’uso di strumenti tecnologici e multimediali, porteranno una testimonianza delle ultime tendenze dell’underground parigino.
Ancora una canadese, ma stavolta da Vancouver: Crystal Pite, con la sua compagnia Kidd Pivot, si propone di dare forma con le sue movenze all’astrazione, raccogliendola dallo sbriciolamento dei gesti quotidiani, le lost actions che danno il titolo al suo lavoro.
Last but not least, in questa edizione del RomaEuropa, c’è di nuovo il festival di Sensoralia anche qui con presenze sia inedite che già collaudate, ma sempre con l’idea di dare spazio alla musica elettronica in tutte le sue declinazioni e contaminazioni.
valeria silvestri
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