“E’ per bellezza” dice Flavio Favelli (Firenze, 1967) raccontandoci di quando da bambino, chiedendo alla madre spiegazioni sull’utilità di alcuni elementi d’ornamento, riceveva la risposta che molto avrebbe influenzato la sua produzione artistica. Al punto che “questa mostra avrebbe potuto anche intitolarsi così”, confessa.
Il lavoro di Favelli si caratterizza da sempre per l’attenzione al dettaglio, al gusto per il decorativo, che però nasconde simboli, come riflussi di un passato personale e, come detto, ancora condizionante. “La sua casa è la sua mente” potremmo dire traslando il titolo di una sua mostra di qualche anno fa.
Un’esplicitazione in tal senso è visibile nella Vermut Hall realizzata nello spazio di Volume!, trasformato, per l’occasione, in un ambiente a metà tra un’abitazione privata e un locale pubblico. Le macchie del test di Rorschach, che fregiano il mobile della prima sala e –ripetute all’infinito– la vetrata di una piccola finestra, denunciano proprio un’esperienza fatta dall’artista da piccolo, ma rimandano anche ad altre suggestioni, come i decori arabeggianti che ritornano nell’arredo. È il caso della piccola fontana in un angolo chiuso da una cancellata, quasi un richiamo al giardino interno di una casa araba e al contempo ad una nicchia dedicata ai Lari nella casa romana. Una contaminazione di stili che nasce dalle molteplici culture con cui Favelli è entrato in contatto nei molti viaggi fatti da bambino e che si riflettono sulla scelta degli oggetti che compongono le sue installazioni e che l’artista compera nei mercati d’antiquariato. Sono memorie personali che rivivono nell’aprirsi agli altri.
Un’atmosfera retrò che si rinnova e trova altra identità nella dialettica tra il privato e il pubblico e che, durante l’opening, si è sviluppata nella performance che ha visto due giovani donne africane vendere vermut bianco. E non solo: insieme all’alcool anche una sigaretta rollata a mano, una scatolina di cerini siglata dall’artista e il bicchierino compreso. Un rito da locale anni Cinquanta, con il respiro di una casa della stessa epoca. Un luogo temporalmente sospeso, fatto di oggetti ritoccati, aggiustati, smontati e ricomposti: legni bruciati e risistemati a parquet, tazzine e bicchieri sui lampadari, un mobile da ospedale –come la vernice alle pareti– trasformato in vetrina per suppellettili varie. E persino un pulpito.
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