È un Edgar Degas poco più che ventenne quello a cui Ingres dice “faccia delle linee giovanotto, molte linee, a memoria o dal vero: è così che diventerà un buon artista”. E lui –giovane e di belle speranze, che per l’arte ha abbandonato gli studi giuridici- di questo consiglio farà tesoro per tutta la vita. Degas si forma guardando i classici, l’intensità espressiva di Giotto, l’equilibrio compositivo di Raffaello ma anche il colore di Rubens e dei veneziani del cinquecento e li copia continuamente, prima al Louvre e poi durante il suo viaggio in Italia dal 1856 al 1859. La sua osservazione è già rielaborazione: come dimostra con Il Calvario del 1861, copia dalla Crocifissione di Mantenga in cui già tradisce la disinvoltura cromatica e il tocco dinamico che negli anni a venire definiranno sempre più la sua cifra pittorica personale.
Tornato nella Parigi degli anni ’60, è pronto a portare l’esperienza del passato e dei classici nella modernità della vita e dell’arte, in cui già fermenta la rivoluzione della pittura impressionista. Si appassiona ad alcuni soggetti: li sceglie “in modo che” – dice– “ contengano la vita dell’uomo e della donna”. Soggetti che diverranno ricorrenti in tutta la sua produzione –dal il foyer de danse dell’Opéra con le sue ballerine, ai Caffè-concerto , ai cavalli, ai nudi femminili– in una continua sperimentazione di tecniche e modi espressivi attraverso cui cerca di “trasformare la tête d’expression (lo stile accademico) in uno studio del sentimento moderno”.
E’ seguendo questo filo rosso tra modernità e tradizione, che si attraversa tutta la vastità del corpus di opere esposte in quest’ampia monografia (più di centosettanta pezzi, tutti i più importanti musei e collezioni private): oltre agli olii ed ai pastelli più noti infatti, è dedicato significativo spazio ai disegni e alla fotografia -tecnica di cui Degas fu pioniere- e viene ospitata l’intera collezione delle piccole sculture dell’artista, provenienti dal Museu de Arte di S. Paolo in Brasile. Campeggia, splendida, la rivoluzionaria ballerina di 14 anni del 1880, scultura di impressionante realtà, in bronzo, alta quasi un metro, con corsetto e gonna in garza, che fu pietra dello scandalo per la sua sfrontata veridicità, espressione perfettamente moderna di sintesi plastica tra tensione dinamica ed equilibrio del corpo nello spazio.
L’amore per le ballerine, dalle cere, ai disegni, alle tele, accompagnerà Degas, sempre: accovacciate, di schiena, alla sbarra, queste ragazze acerbe sono per l’artista l’occasione per l’osservazione e lo studio del movimento, per cogliere la naturalezza di un attimo in cui si rivela la vita, “perché” – dice –“là soltanto posso ritrovare il movimento dei Greci”. La figura si muove nello spazio e lo spazio intorno alla figura: è inscindibile in Degas questa relazione che si esprime in un continuum dinamico attraverso visioni sghembe, tagli diagonali, prospettive allungate. La sua è una rivoluzione visiva che anticipa il dinamismo della telecamera, attraverso l’uso anticonvenzionale della linea e del taglio compositivo: come si vede nel ciclo delle composizioni orizzontali dedicate alle prove di danza, soggetto su cui Degas torna costantemente per più di vent’anni. Emblematica la Classe di danza del 1873: l’artista fa entrare lo spettatore nella sala delle lezioni con l’occhio d’un voyeur, dà uno scorcio rapido in cui cogliere inaspettatamente l’istantanea degli atteggiamenti; mette a fuoco le scarpe di satin posate sulla panca, il rimando di sguardi delle due figure in primo piano per poi scivolare in uno spazio che si apre e si muove in profondità attraverso la visione angolare.
E’ una trasformazione radicale: Degas guarda dal basso e dall’alto, offre una prospettiva dinamica, sposta ogni punto di vista predefinito e coglie la vita nel suo divenire. Tuttavia, a differenza della pittura d’impressione, per Degas questa realtà si dà solo attraverso il passaggio sintetico del pensiero, nella riflessione: il suo non è mai un lavoro en plein air, di getto l’artista realizza solo lo schizzo, breve e rapido, ma è solo più tardi, nel suo studio, attraverso la memoria, che giunge all’espressione più autentica del reale.
Un’immediatezza intellettuale la sua, quasi come quella dei movimenti di danza delle giovani ballerine che predilige. Perché, come per i classici, per Degas, moderno, la pittura è frutto di lunga applicazione e riflessione, sintesi in continuo divenire tra pensiero e percezione sensibile.“Nessuna arte è stata mai meno spontanea della mia”, ammette, laconico. “ Ciò che faccio è il risultato di riflessione e studio dei Grandi Maestri””.
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emilia jacobacci
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emilia jacobacci ha scritto una recensione puntuale..colta.. inerente i modi di affrontare la figurazione di questo maestro dallo spessore grandissimo.. ho visto a parigi alcune sue opere..le emozioni sono state a pelle! suggestioni fatte di colori e forme di levatura eccellente.. a napoli frequentavo una amica, tempo fa, che aveva residenza nello stabile che lui abitava quando giungeva in questa capitale mediterranea..dormendo in quel luogo mi sembrava di sognare fogli pastellati dense di donne dalla sensualità affascinante..coinvolgente..
roberto