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fino al 10.I.2004 Gilberto Zorio. 14 novembre: si apre Roma, Oredaria Arti Contemporanee
roma
Canoe, alambicchi, otri e giavellotti. Che diventano macchine. Si muovono, oscillano nell’aria con un’energia trattenuta a stento. Le stelle e l’Internazionale. È l’alfabeto di Gilberto Zorio. In un nuovo, suggestivo, spazio romano…
Gilberto Zorio ha tenuto a battesimo il nuovo spazio espositivo di Marina Covi Celli, un’ampia ex fabbrica di reti a pochi passi dal Macro che esordisce sul panorama romano immediatamente da primattrice. Ma passiamo alla mostra. Nulla di celebrativo, semmai l’indicazione di un percorso. Non mancano dunque opere nuove, create per l’occasione, in dialogo con alcuni lavori del passato e con gli ambienti della galleria.
I titoli non sono mai indicati, l’unica cornice tradizionale è poggiata a terra, la Stella di giavellotti(1974) pende a mezzo di un arco, mentre quella incandescente è sospesa nella penombra. Nessuna novità, quindi. Ed è sempre incredibile come le immagini e le strutture di Zorio dispongano dell’architettura aggrappandosi ai vetri e oscillando nell’aria, facendo forza su un punto, catturando l’esterno con la musica fosforescente di una proiezione (come ne L’Internazionale, apparecchio animato da una fotocellula che riproduce le ultime note dell’inno e proietta due identici pentagrammi su una portafinestra e su una volta del soffitto. Per goderne appieno la suggestione sono più adatti la sera ed il buio, e il consiglio vale forse per tutta la mostra).
Protagonisti dunque gli spazi, anche quello di un campo convenzionalmente misurato: a ben guardare non dal suo perimetro, ma dal suo centro. Come nella Stella di rame (2002), ipnotica e atavica, in cammino su una lastra di agglomerato nero che ha spessori e tempi ed è sferzata in una direzione che si vorrebbe imputare a un’esperienza della natura, al suo passaggio bruciante.
C’è qualche differenza tra la stella e gli altri emblemi dell’artista, tuttora presenti: gli otri, i crogiuoli, gli acidi e le canoe si compongono nuovamente in strutture che l’interpretazione forse può ridurre in frammenti di autonomo significato e che tuttavia animano di volta in volta una drammaturgia dagli esiti non calcolabili.
Tra i lavori inediti, collocata nell’ampio ingresso, la Barca d’animaaccoglie lo spettatore e lo accompagna nel corso della visita, rendendolo partecipe con l’attesa ed i sensi, in virtù del movimento e del sibilo da cornamusa innescati dal timer. La canoa è sospinta verso l’alto da un otre che si gonfia e lo stesso Zorio ha ricordato che questo contenitore veniva usato dai cinesi per sostenere le zattere galleggianti sui fiumi.
Gli elementi hanno un passato non univoco, sono appartenuti a storie e persone; ma la stella sembra l’origine di tutto, come atto di appropriazione che libera e pone a metà strada tra la terra e ciò che altrimenti sarebbe da guardare come un planetario, a testa in su. Fa bene allora Laura Cherubini, nel testo introduttivo, a ricordare che la prima comparsa dell’astro risale al 1972, quando Zorio in un autoritratto la pose al posto dell’occhio.
Oredaria continuerà ad approfondire questa generazione con la prossima mostra, una personale-retrospettiva di Alfredo Pirri, mentre in un’ala della galleria troverà posto una project room che sarà osservatorio sulla giovane creatività italiana ed internazionale.
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Oredaria Arti Contemporanee, Via Reggio Emilia 22-24 (Porta Pia) 0697601689, mar_sab 10-13/16-19.30 www.oredaria.it, info@oredaria.it , catalogo a cura di Achille Bonito Oliva ed. Skira
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