Si potrebbero chiamare le fiere della vanità.
Gino
Marotta (Campobasso,
1935; vive a Roma) risponde all’appello del Macro di via Reggio Emilia come
rappresentante del panorama romano contemporaneo.
Nella schiera di una generazione che ha fatto la storia
dell’arte italiana più recente, Marotta opera una critica sociale attraverso la
satira. È infatti stato attivo al fianco di
artisti come
Burri,
Fontana e
Ceroli,
solo per citarne alcuni, ma anche di registi come
Carmelo Bene, col quale ha lavorato alla scenografia del film
Nostra
signora dei turchi.
Dai materiali leggeri ai colori glamour, le sue sculture
attraggono in quanto traduzione di una realtà che conosciamo. Naturale e
artificiale al tempo stesso. Quest’ultima commistione ha però ormai lasciato
campo libero alla finzione, tanto da impedire una vera e propria distinzione
fra reale e irreale. I suoi fenicotteri, esposti in una delle due sale a lui
dedicate, insieme alle palme o ai rinoceronti,
potremmo vederli uscire dal Macro e girare per il centro di Roma. Così,
le luci soffuse e i neon potrebbero essere le stesse del locale in cui ieri
abbiam preso l’aperitivo.
Il mondo naturale si è trasformato in ologramma
artificiale e la finzione si è fatta verità. E Marotta,
precorrendo i tempi, ha trovato da anni un mezzo espressivo che ci rappresenta,
e ce lo comunica col nostro stesso vocabolario. Non sconvolge, fa
sorridere, ma presto lascia l’amaro in bocca.
Nell’altra sala si vede
Ricognizione virtuale della
savana (2009),
l’opera realizzata site specific per il Macro: un’installazione di dieci
pannelli in metacrilato e luce artificiale colorata in cui si percepisce uno
spostamento verso termini più concettuali. Rispetto alle opere precedenti, che
volevano anticipare l’assurdità di cui siamo testimoni, oggi Marotta sembra
spaventato dal fatto che i pronostici abbiano superato la sua stessa
immaginazione. Anche i toni di
Indaco, il suo libro presentato al Macro, è fatto di intimi
frammenti di un “
piccolo vocabolario personale”.
Quest’opera è più complessa, meno
immediata; sembra specchio di una necessità diventata ormai pressante,
di un cambiamento che ormai è alle porte. Un ritorno alla natura e alle sue
leggi più elementari, a un’etica perduta, a linguaggi sinceri.
L’omaggio del Macro a Marotta come
artista romano era giusto e doveroso. L’artista molisano può infatti a buon
diritto ritenersi
capitolino d’adozione, data la sua importante carriera, che l’ha visto attivo
più volte a Roma.
Esposto in spazi pubblici e privati come la Quadriennale
di Roma, dov’è stato presente più volte, e il Complesso del Vittoriano, o
recentemente al Premio Terna e alla Ph Art Gallery, Marotta continua ad
alimentare la nostra storia dell’arte contemporanea nazionale e internazionale.