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Nel 1948 alla Biennale di Venezia Henry Moore, cinquantenne, vince il premio internazionale per la scultura. Da quel momento e per quasi quarant’anni, fino alla morte, avvenuta nel 1986, l’artista inglese domina la scena mondiale. Acclamato dalla critica come lo scultore più importante del 20º secolo, con le sue sinuose, disarticolate ed enigmatiche figure femminili distese, ottiene presso il grande pubblico la stessa popolarità di Picasso. Tuttavia nonostante il forte legame stretto con il nostro Paese, la fama di Moore in Italia sembra col tempo diminuire. L’ultima grande esposizione a lui dedicata, allestita alla Fondazione Cini di Venezia, risale infatti al 1995.
A distanza di vent’anni, l’occasione di tornare a parlare da noi dello scultore è data dalla bella mostra organizzata dalla Soprintendenza archeologica di Roma, in collaborazione con Tate ed Electa, allestita nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano, fino al 10 gennaio 2016. Intitolata semplicemente “Henry Moore” la rassegna, curata da Chris Stephens e Davide Colombo, presenta un’attenta selezione di opere (77 tra sculture, disegni, acquerelli e stampe) rappresentative dell’intero percorso creativo dell’artista, opere provenienti per lo più dalla Tate di Londra e da diversi musei italiani.
Settimo figlio di un minatore dello Yorkshire, dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale Moore trova il coraggio di sfidare il padre e andare a studiare arte, prima a Leeds poi a Londra. Nel 1925, grazie a una borsa di studio, visita l’Italia per la prima volta e l’influenza dell’arte antica, di Giotto e di Michelangelo, si aggiunge all’iniziale passione, tipica dei modernisti, per il primitivismo e le forme naturali. Alla biennale del 1948 conosce lo scultore Marino Marini, col quale stringe un’amicizia duratura, rinsaldata dai frequenti soggiorni estivi a Forte dei Marmi. Tale legame è ricordato ad apertura della mostra dall’intenso Ritratto di Henry Moore (Milano, Museo del Novecento) eseguito nel 1962 dall’amico.
Il percorso espositivo si articola in cinque sezioni (Modernismo, Guerra e Pace, Madre e figlio, Figura distesa, Spazi pubblici) in cui opere astratte si alternano ad altre figurative di impronta realistica, come i magnifici disegni dei ricoveri antiaerei (1940-41,) o surrealista. La chiave di lettura è offerta dall’artista stesso, quando nel 1937 scrive: «Nell’arte di buona qualità hanno sempre convissuto elementi astratti e surrealisti, così come elementi classici e romantici, ordine e sorpresa, intelletto e immaginazione, conscio e inconscio». E sebbene la scultura di Moore sia pensata per stare all’esterno, in rapporto con la natura («Preferirei – dichiara nel 1955 – che una mia scultura sia messa in un paesaggio, quasi ogni paesaggio, piuttosto che nell’edificio più bello che conosca») il dialogo che le sue misteriose figure distese instaurano con i monumentali ambienti delle Terme, e con le sculture classiche, è di grande suggestione.
Accompagna la mostra un bel catalogo con saggi critici, oltre che dei curatori, di Silvia Bignami, Antonello Negri, Sileno Salvagnini e Giorgio Zanchetti.
Flavia Matitti
mostra visitata il 24 settembre
Dal 24 settembre 2015 al 10 gennaio 2016
Henry Moore
Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano
Via Enrico de Nicola, 79, Roma
Orari: dalle 09:00 alle 19:30 con ultimo ingresso alle 18:30
Info: 06 56358003, http://archeoroma.beniculturali.it