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Su tre, tutti di bell’aspetto, due sono morti giovani e uno, Sanzio, porta la bandiera di grande innovatore. Ma è sotto la sua ala che tutti diventano grandi. Di quel “Raffaello, bello figliolo che tu sei” tanto amato da Dario Fo, c’è in apertura della mostra ai Musei Capitolini, lo splendido autoritratto dagli Uffizi. Tornato nella città che conserva le sue spoglie e molti capolavori, ce lo racconta un giovane ricercatore dell’Università di Bologna.
La mostra “Raffaello, Parmigianino, Barocci, metafore dello sguardo” infatti, è il punto di arrivo di lunghe ricerche della Direttrice del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Marzia Faietti (nota scopritrice di un disegno inedito del Parmigianino, Testa virile) e dei suoi collaboratori dell’Alma Mater di Bologna. Organizzata da Metamorfosi e Zetema, la mostra si concentra sulla grafica, i tre giganti del Rinascimento sono visti come “graphic designer”. Sono esposti non tanto gli oli e gli affreschi, quindi, quanto le sanguigne (o pietre rosse) i cartoncini acquerellati, qualche dipinto e i tratti di penna e inchiostro, fanno il punto sui legami tra i tre.
Raffaello muore giovanissimo ma lavora così tanto nei suoi 37 anni di vita che lascia una pesante eredità a chi viene dopo di lui: l’eredità dell’antico. E come questa eredità viene raccolta è il tema della mostra.
Proprio guardando indietro, Parmigianino, curioso di “investigare le sottigliezze dell’arte, si mise un giorno a ritrarre se stesso in uno specchio da barbieri”. Peccato che il prestito, l’autoritratto da Vienna, non sia stato concesso, perché quella che poi sarà chiamata “la civiltà delle immagini” nasce con queste raffigurazioni di sé. Tuttavia tra schizzi, disegni preparatori e qualche autoritratto a olio, sia Parmigianino che Barocci, dimostrano quanto leggiadra fosse la loro penna.
Chi per autoaffermarsi, chi per puntare i piedi, gli sguardi degli autoritratti sono il più delle volte tormentati, come Barocci che si ritrae durante un soggiorno a Roma in cui scopre la sua malattia. Mentre Raffaello invece si consegna efebico, con posa elegante da “cortegiano” (la paternità e identità della tela è finalmente confermata), Francesco Mazzola, al contrario, si vede insieme a due Vergini della Steccata di Parma, suo massimo capolavoro che gli costò la prigione poiché non consegnava che cartoni (preso com’era dal delirio dell’alchimia).
In un’altra sezione, il disegno preparatorio della Deposizione Borghese di Raffaello, futuro canone nella storia dell’arte, viene reinterpretato dai suoi eredi anche rovesciandone completamente i termini.
Parmigianino infatti si affranca quasi del tutto dalla sua scuola, e non solo per via di precise scelte stilistiche. Il distacco è più evidente nelle opere di Barocci, per le nuove preoccupazioni religiose e culturali che si respirano, rispetto a Roma, in un ducato, come quello di Urbino, ormai in lento declino.
Tre busti di Raffaello, però danno conto di quanto innovazioni e cambiamenti non siano solo dovuti al nuovo clima politico ma anche agli influssi artistici o di bottega delle città in cui si trovava a vivere.
Il primo ritratto femminile, risente ancora della scuola umbra, Perugino su tutti.
Il secondo, del 1507, e quindi in concomitanza della Deposizione di Roma-Perugia, doveva con ogni probabilità servire per la Maddalena. Da chiare influenze fiamminghe e sopra tutte leonardesche, il terzo.
Profili incantevoli realizzati con tratto di penna, una tecnica che Raffaello impara a Firenze.
Chiude il ciclo espositivo un olio del Barocci, una scena devota su una finestra “albertiana” aperta su un paesaggio cittadino seducente e sfumato che già tende al Barocco, superando come è evidente certe rigidità manieriste.
Sul Campidoglio, fino al 10 gennaio quindi, schizzi e disegni di tre artisti che fecero grande Roma anche dopo il Sacco del 1527.
Il tratto nevrotico di Parmigianino, alchimista maledetto, che rende in modo impercettibile l’eleganza insita nel profilo umano, soprattutto femminile.
O quello più sublime di Barocci, dove il tratto nervoso si stempera con le sfumature cerulee delle carte usate, non è meno morbido di quello del grande Raffaello, i cui disegni delicati e insieme rigorosi denotano una speciale qualità del segno, frutto delle sue evoluzioni a partire dalla scuola umbra fino all’influsso del genio leonardesco e non di meno di Michelangelo.
Anna de Fazio Siciliano
mostra visitata il 1 ottobre 2015
Dal 2 ottobre 2015 al 10 gennaio 2016
Raffaello Parmigianino Barocci. Metafore dello sguardo
Musei Capitolini- Palazzo Caffarelli
Via delle Tre pile 4
Orari: tutti i giorni dalle 9.30 alle 19.30, 24 e 31 dicembre dalle 9.30 alle 14.00
Info: www.museicapitolini.org