Fango, pioggia, alghe, sangue, sperma, escrementi, succo di violette. Non sono gli ingredienti di una pozione magica ma i pigmenti usati da Giovanni Rizzoli (Venezia, 1963; vive a Venezia) per i suoi quadri. Semplici gesti, pochi tratti, figure brevemente accennate. E sono opere recentissime (ottobre e novembre 2004 a parte qualcuna di fine anni ’90) quelle in mostra, tra pitture, disegni e sculture.
L’uso dei materiali impiegati aggiunge alla semplice visione delle opere un “coinvolgimento fisico”, come lo stesso artista lo ha definito in un’intervista del 1994. E così per dipingere un fiore e più precisamente una calla, più volte ritratta, il pittore adopera del fango mischiato a della pioggia. Il risultato ottenuto è duplice: un disegno semplice ma allo stesso tempo “espressivo e concettuale”. Usare la terra per rappresentare i frutti da essa prodotti, esattamente come aveva già fatto precedentemente con l’uso delle alghe. Per avvertire la sensazione di vivere Venezia, Rizzoli aveva impiegato proprio delle alghe del posto. Nella stessa sala sempre i fiori sono il soggetto di altre tele dipinte in acrilico dai colori sgargianti del viola e del fucsia, ancora una volta caratterizzati dalla semplicità del tratto, e di una scultura in bronzo rodiato. Nella sala accanto due carboncini del 1997 riproducono due Sibille Cumane dipinte… a Cuma. Di nuovo il pittore cerca di avvicinarsi in un modo o nell’altro, il più possibile al soggetto che vuole rappresentare.
Altri disegni di calle e un autoritratto affiancano una scultura in vetroresina. Un bianco cigno appeso alla parete quasi come fosse un trofeo di caccia, ha un piercing applicato al becco e ha lo sguardo impreziosito da occhi di cristallo di rocca. Nella terza ed ultima sala un piccolo asinello tracciato a china, ancora due calle in blu ed in rosso e un’altra scultura. Una testa in vetro che tanto rievoca i “vasi provvisori”, vasi funerari che Rizzoli ha cominciato a realizzare nel 1992-1993 ed ha espostoi alla 48. Biennale di Venezia del ‘99. Lo stesso materiale usato, il vetro soffiato e la stessa forma, con quella sorta di protuberanza che qui vorrebbe forse simboleggiare un naso e che lì lasciava poco spazio all’immaginazione.
La mente dell’artista gioca sempre su un duplice messaggio da trasmettere, senza negare un indubbio riferimento erotico, un binomio tra Eros e Thanatos di antica memoria. Come anche in questa testa abbandonata, esanime, con la cavità orale appena accennata, aperta e senza fiato.
valentina correr
mostra visitata il 10 dicembre 2004
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NB altro artista che come carrega usa sperma (e lui anche escrementi, come manzoni). prendi nota. RA