Nasce anche su territorio italiano, grazie ad Olimpia Orsini e Carlo Madesani, un progetto già sperimentato su suolo francese: One Piece come piece unique. “L’interesse è sul concetto di scelta, a cui è legato quello di unicità”, recita la presentazione. L’iniziativa prevede infatti mostre fatte di un’unica opera, realizzata da un artista appartenente alla scena contemporanea. Ad inaugurare questo ciclo su suolo romano è l’enigmatica Greta Frau (Colonia, 1942).
La leggenda che la circonda, la vita artistica esperienziale di un personaggio che diventa fiction, diviene esemplificativo del tipo di arte che la Frau presenta al pubblico. Una biografia misteriosa, che la vuole spesso, alla maniera di George Sand, come uomo sotto falsa identità femminile. Donna costretta sulla sedia a rotelle dopo un incidente, dedita alla pittura, d’ispirazione accademica, fonda la propria presenza sull’assenza. Si scinde nelle immagini serializzate che mette su tela e ricompone il suo ego nelle ostentazioni delle pratiche ricorsive. Tratti comuni dei ritratti, performance delle sue Trance, ineguagliabili, originali, che anelano all’antico ideale di Bellezza.
Greta Frau è la dimostrazione di un’arte contemporanea che vive principalmente di performance, che ha necessità, per poter vivificarsi, di essere tutt’uno con lo spazio che l’accoglie, il quale deve piegarsi, elastico, alla narrazione. Un fare artistico con il silenziatore. I ritratti sono riproduzioni seriali di adolescenti, reincarnazioni di vecchie compagne di collegio (la divisa, severa e puritana, standardizza quanto di individuale c’è in ognuna). Ritratti spiazzanti e ipnotici che giocano sul trompe d’oeil del dettaglio, di precisione fiamminga, proiettati su un orizzonte nero, una profondità tendente all’infinito che riassume in sé quel concetto di Bellezza e Verità eterna. A questo obbligano il discorso le sue Trance, ex-compagne,
Tuttavia, è la pratica di sfondo a mancare, manca del suo attributo fondamentale: la situazione stessa. È una performance che vive della sua attuazione, ma ha altrettanto bisogno di lasciare delle tracce, un qualcosa che è stato, o meglio, nei termini di una filosofia frauiana, ciò che continuerà, ciclico, ad eternizzarsi. La galleria in questo pecca nel paradosso della sua novità -l’inaugurazione dello stesso locale risale al 15 dicembre-, l’accenno alla performance del vernissage rimane fra le righe di un comunicato stampa. La scena non trattiene i referenti che titolano la mostra La Rondine né richiama ad un’Africa vagheggiata in presentazione. Su un tavolo, le cartelle abbandonate dalle bambine, ognuna contenente il ritratto, one piece della mostra, più in là le foto di queste che attestano lo stato di trance nella fotografia dello svenimento. Poco è ricostruibile a partire dagli indizi presenti. La disposizione stessa, quindi, lungi dall’assolvere pienamente alla sua funzione simbolica di traccia, perde il suo contatto con l’osservatore. Accatastati sul piano orizzontale non permettono a chi osserva di raccogliere lo sguardo delle “ritratte”; è negato il ruolo che già il singolo quadro impone: essere interpellati ed entrare nell’opera. La considerazione finale non può che dibattersi fra la comprensione di un’artista già enigmatica e la controparte galleristica che, esaurita la performance, smarrisce la presenza dell’atto, comunicativo emotivo mistico, che è stato ed è in corso.
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chiara li volti
mostra visitata il 20 dicembre 2006
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Oh Aldo Tilocca che fai ancora le trance !!!
belli i nuovi quadri di Greta Frau......
ancora il finto mistero di "GRETA FRAU"! svegliatevi cari fedeli amici !
greta ormai 6 finita,anzi Aldo 6 così triste che ti voglio bene!
dopo aver letto la recensione di Chiara Li Volti, vorrei precisare che - essendo stata presente all'inaugurazione della mostra - il lavoro "La Rondine" comprende anche un video, di cui parlo dettegliatamente nell'articolo che vi allego di recente pubblicato nel quotidiano La Nuova Sardegna.
Forse qualche problema tecnico all'interno della galleria ne ha impedito la visione?
Greta Frau e il suo mistero tornano questa volta a Roma con la mostra La Rondine, alla galleria One Piece Contemporary Art di Olimpia Orsini e Carlo Madesani, inaugurata il 15 dicembre dell’ormai scorso anno.
La Rondine, curata da Gabi Scardi, porta come sottotitolo “una lezione introduttiva alle scienze naturali”; ma, come sempre, Greta divaga e va fuori tema. Le sue “lezioni” da rigida maestrina si presentano, in realtà, come esercizi di confusione.
Pittura, fotografia, performance, video e installazione si intrecciano con fluidità.
Tredici docili adolescenti – in cui Greta ritrova le proprie ex compagne di classe – provenienti dal più prestigioso collegio di Roma, il San Giuseppe de Merode, stanno irrigidite come sentinelle, dentro e fuori la galleria, tenendo strette al petto immacolate cartelle di tela bianca, cifrate sul fronte con un ritratto (Trancia) ciascuna.
Si ode una voce che, calma e a lunghi intervalli, ripete la parola “rondine”, seguita da un tenero cinguettìo che rappresenta la migrazione delle giovani rondini, metafora delle acerbe fanciulle, sul punto di prendere il volo.. Le rondini esprimono la gioia della partenza, il lungo viaggio che le porterà verso il sud, verso il grande continente africano. Iniziano, infatti, a succedersi all’interno e all’esterno dello spazio espositivo, immagini d’Africa in un video fatto di paesaggi, deserti e savane, privo di vita sia umana che animale (nemmeno una zanzara..), in cui “tutto è bello”, secondo l’ideale estetico, ma anche etico e conoscitivo dell’artista. Questo è ciò che appare; ma, il montaggio, inizialmente calmo e calibrato, si fa presto difettoso e ai paesaggi oleografici si sostituiscono arida terra, erba secca e pietrame.
In un attimo, come birilli, una dopo l’altra, le fanciulle perdono i sensi, cadono a terra sciogliendo le cartelle dall’abbraccio che rotolano sul pavimento e sul selciato abbandonando l’immacolato splendore. Un pubblico selezionatissimo, più curioso che benevolo (manca, infatti, di soccorrere le ragazze), si affretta ad aprire le cartelle accatastate alla rinfusa su di un tavolo-bancarella in cui vengono messe in vendita.
Nel frattempo le ragazze improvvisamente riprendono vita e allegramente corrono via, sparendo in un attimo dietro l’angolo della strada.
A questo punto resta da scoprire cosa abbia trasformato l’idillio in dramma: cosa si celi in quei paesaggi d’Africa, quale distorta percezione, quali rimosse perversioni, quale tragica realtà sia stata trasmessa attraverso un messaggio non percettibile, ma che è arrivato alla coscienza.
Le immagini d’Africa che si sono viste scorrere sono il risultato di una drastica censura operata su nove film diversi appartenenti al malfamato genere culto degli anni ‘70 “Mondo Movies”, in particolare alla sottoserie dedicata ai riti tribali africani caratterizzati dalla violenza e dal sesso. All’interno del filmato l’artista ha poi interpolato 1 4 fotogrammi subliminali con l’immagine di un uomo bianco che si ricopre dei suoi escrementi, metafora della fine della civiltà occidentale e dell’uomo stesso.
Non è un caso, infatti, che la performance si concluda con le ultime parole del film “Addio ultimo uomo” di A. e A. Castiglioni (1978) - parzialmente soffocate da un lungo fischio che si perde nel vuoto di uno schermo blu - che dicono: “Finisce un mondo e un altro comincia, imprevedibile come un’avventura. Senza rendersene conto, la maestra è venuta fin qui a scrivere sulla sua lavagna un addio, l’addio all’ultimo uomo”.
La classe di Greta è una classe di non-donne in perenne attesa di diventarlo. Questo spiega la venuta a Roma dell’enigmatica maestra a dichiarare, assieme alle sue giovani compagne, la fine dell’uomo, figura del nero, simbolo di negatività e il trionfo di un mondo neutro, assessuato, espressione di una bellezza universale, ma anche drammaticamente vuota. Ancora una volta Greta, dietro un apparente rigore, quello delle sue Trance appunto, ci confonde con la sue finzioni e i suoi messaggi subliminali, indecifrabili e mai assoluti, facendo perdere i sensi pure a noi comuni mortali…Un vero grido d’allarme sulla vita e sull’arte.
Margherita Coppola
quella volta non ci poteva restare (in germania naturalmente)
sarebbe così bello non sentire più parlare di lei