“La scommessa da vincere è portare nel tridimensionale quanto sono riuscito ad accumulare come immagine sulla superficie della pittura. Per poter penetrare nel più profondo mistero del nostro mondo visivo”. Questo l’obiettivo della scultura di Achille Perilli (Roma, 1927): lo spazio ha preso il posto della tela e il soggetto è diventato allo stesso tempo supporto. Come nella serie degli Alberi, iniziata nel 1996 e tuttora in corso. In un saggio in catalogo Nadja Perilli traccia il filo conduttore che lega gli esempi significativi della presenza dell’albero nella storia dell’arte nei secoli, fino ad oggi. Passando per la pittura veneta cinquecentesca, toccando inoltre Annibale Carracci, la scultura di Bernini, la pittura di Cézanne e Matisse, arrivando a Fontana, l’autrice sottolinea la semantica di questo soggetto naturale. L’artista lo vede come emblema del trascorrere del tempo -narrato dai nodi- della forma che si trasfigura, dell’inglobare andando oltre il segno delle cicatrici, del piegarsi e dello storcersi. Con questo presupposto Perilli usa gli alberi come supporti, per un’arte fatta di colore e geometrie, che a volte riprendono e a volte entrano in conflitto con le linee indicate dalla natura. Dai soggetti più astratti, come nel caso della recentissima Virtuosad (2006), a quelli più densi di rimandi alle grandi opere del passato. È il caso dell’Apollo e Dafne e ancora di più del Laocoonte. Il suo modus operandi ricorda quello di Michelangelo, nella cui scultura affiorava in superficie l’anima dei corpi, che prendeva forma liberandosi dal blocco marmoreo. Adattandosi a
Fin dagli anni Sessanta Perilli utilizza il legno nelle sue opere a partire dalla serie delle Colonne, totem realizzati con tecnica mista, fino ai Distorti, produzioni degli anni Novanta in ceramica. In entrambi i casi si sovrappongono diversi elementi, con successione irregolare. Nel caso delle Colonne superfici graffiate e disegnate si alternano a dischi di colore; nei Distorti l’alternanza è accompagnata da un continuo spostarsi del peso dei blocchi rispetto al centro. Un discorso in termini di forma e colore su cui l’artista torna dopo anni e accumulata esperienza. Sempre in legno la serie dei Bianchi degli anni Settanta, in cui il gioco scultoreo abbandona la centralità nello spazio per essere destinato alla parete. Qui bianchi cubi su fondo bianco si alternano andando verso l’interno o emergendo verso l’esterno, creando il chiaroscuro. Sempre destinata alla parete la serie delle Argille della fine degli anni Novanta, non distante dagli Alberi nel gioco dell’esplosione dei colori e delle forme geometriche.
valentina correr
mostra visitata il 9 luglio2006
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Ho sempre amato Perilli ma non conoscevo queste sue ultime sculture:bellissime!!!