La fotografia è etimologicamente âscrittura con la luceâ. La stessa luce che dalle opere di
Sergio Scabar (Ronchi dei Legionari, 1946) sembra essere sparita. Tace, per riprendere il titolo della mostra e di tutte le opere:
Silenzio di luce, appunto. La manipolazione dellâelemento luminoso, la gestione diretta e âmanualeâ del procedimento di stampa divengono parte integrante di un modus operandi sperimentale tipico del fotografo friulano.
Bisogna accostarsi ai singoli lavori per scoprire i soggetti rappresentati, immersi in un buio basato sulla scala dei grigi. Uno sforzo di decifrazione richiesto dallâautore stesso e che costringe lo spettatore a una vicinanza fisica con lâopera, sempre di dimensioni ridotte. La tecnica di Scabar consiste nellâutilizzo di particolari acidi in fase di stampa, un procedimento âchimico-alchemicoâ che riduce al minimo i contrasti. LâimprevedibilitĂ del risultato, il ruolo del caso fa di questi lavori dei pezzi unici, assimilabili a piccoli dipinti realizzati con una tavolozza scura.
Gli oggetti e i paesaggi emergono cosĂŹ dalla penombra, acquistando un tono cupo e ambiguo. Il frame è raccolto in cornici artigianali realizzate dallâautore e dipinte di nero; ogni brano fotografico trova quindi il proprio spessore, la propria forma, la propria inclinazione. Il contorno si fa coronamento del lavoro, richiamando, in taluni casi, le fattezze di un monitor.
Tutto ciò aiuta a vedere le fotografie come oggetti, un tuttâuno di immagine e supporto. I soggetti scelti si caratterizzano invece per una disposizione meticolosa e teatrale, che rivela una componente
staged molto marcata. Gli oggetti ritratti trovano ambientazioni insolite, come il libro aperto su un prato o lo specchio situato a metĂ strada di un sentiero sconosciuto.
Aleggia un senso di sospensione, lo stesso che traspare dalle riprese paesaggistiche dei dintorni di Gorizia, con trame di rami e specchi dâacqua che sembrano dipinti, e dalle vedute del centro storico di Trieste. La presenza umana è assente, sembra essersi congedata in silenzio, come la luce. Al suo posto, file di bottiglie ordinate su uno scaffale si mostrano nella loro diversitĂ , come nelle opere pittoriche di
Giorgio Morandi.
Il tutto per raccontare come lâordinario possa tingersi di mistero, di sfumature ambigue, grazie alla semplice operazione del âtogliereâ, come sottolinea Guido Cecere. Una poetica di privazioni che, a partire dal colore, procede fino a raggiungere il nocciolo, con lâintento di svelarne la ricchezza intrinseca.
Immagini âsussurrateâ costringono ad appropriarsi della realtĂ raffigurata lentamente, mentre lo sguardo indugia sullâarmonia compositiva e lâumore si fa catturare da una vena di malinconia. Con il silenzio della luce che diventa silenzio degli oggetti e di tutta la realtĂ circostante.
Visualizza commenti
La "stampa alchemica ai sali d'argento" mi mancava proprio
"la gestione diretta e âmanualeâ del procedimento di stampa"... questo non l'avevo letto.
Vabbè che ormai si usa il digitale, ma come definizione di stampa tradizionale in camera oscura mi pare un pelo eccessiva.
E qualche sviluppo morbido fatto in casa, magari a base di metolo o di altre formule variate non è che sia proprio alchimia Lipanje: si chiama ignoranza (vostra, dell'artista, o piÚ probabilmente di chi scrive).
Ma voi davvero pensate di poter prendere in giro la gente? Credete che davvero tutti non conoscano la fotografia come voi?
un pò di fuliggine per dare un tono alla banalitĂ
lippuntin non avete di meglio?