Si è aperta il 24 aprile al Palazzo delle Esposizioni di Roma Play, la prima mostra europea dedicata allo sconfinato mondo dei videogiochi. Tale settore dell’intrattenimento, troppo a lungo ghettizzato nell’ambito di una leggera e spesso poco costruttiva evasione, si ritaglia oggi, come sottolinea Jaime D’Alessandro, organizzatore della mostra, un’ufficiale dignità artistica e culturale.
Non risultava più possibile trascurare l’universo videoludico, soprattutto in coincidenza con le sue ultime proficue interazioni con l’ambito letterario, cinematografico e della musica. Se prima infatti si pensava che il passaggio da pellicola a videogioco fosse l’unico sentiero percorribile, oggi ci si svela una
Ampia l’estensione dell’esposizione che vanta 1300 metri quadrati di superficie e 900 metri di pareti espositive in cui viene illustrata, tramite pannelli informativi e schermi a cristalli liquidi, la storia dell’industria del software e dei suoi protagonisti. Circa 300 i videogames citati: mentre i più antichi, come il Vic 20 ed alcuni Vectrex e Colecovision, si presentano come intoccabili reperti da museo, in altre sezioni espositive, relative prettamente alle console di ultima generazione, è possibile cimentarsi con i giochi elettronici sfidandosi magari all’ultimissimo Warcraft 3, su GameCube o sulla PlayStation 2. Play tocca le varie tappe dello sviluppo del videogame, dagli albori monocromatici e privi di alcun apporto sonoro dell’ormai mitico Pong della console Atari, alla nascita del coloratissimo Super Mario; anni in cui il Sega MegaDrive, il SuperNintendo ed in seguito la PlayStation, ne hanno rivoluzionato la diffusione eleggendo i giochi elettronici ad intrattenimento di massa e ad esperienza sensibile dagli orizzonti sempre più estesi.
Stando alle affermazioni dell’economista Jeremy Rifkin nel best-seller L’era dell’accesso, è la rivoluzione dell’intrattenimento il fenomeno economico e sociale più potente dei nostri tempi e, confrontando le statistiche, già alla fine del ventesimo secolo, l’occupazione principale degli occidentali non erano più gli affari, ma il divertimento.
Non risulta quindi senza ragione lo scopo primo della mostra, quello cioè di dimostrare come il videogioco sia ormai diventato, a tutti gli effetti, una forma di espressione culturale.
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sono stato alla mostra, commovente: ho visto i 'giochetti elettronici' alla monkey kong che il compagnuccio di scuola che ce li aveva era invidiatissimo perché costavano carissimi (settemilalire). C'era lo spectrum, l'Atari...lacrimuccie
mitico. I ricordi del film TRON riecheggiano nella mente: videogames che prevedono l'uomo come attore principale! I giochini sono cultura, chiaro lo siano pure quelli elettronici. Se pensate solamente all'ambito sociale che le vecchie "sale giochi" hanno avuto negli anni '80 viene quasi naturale crederci. Non credo quindi che questo progetto possa definirsi ambizioso, ma piuttosto:dovuto. E' complicato semmai far inculcare ai vecchi bigotti di genitori che la magia del gioco elettronico è direttamente proporzionale all'uso che se ne fa. Se diventa abuso, come ogni altra cosa, può creare danni.
Claro que si!