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La memoria è una componente essenziale della nostra società, del nostro modo di vivere: archiviamo, conserviamo memorie maniacalmente (bene o male che sia), e ne veniamo suggestionati e attratti irresistibilmente, e questo è il motivo per cui spesso i lavori sul tema della memoria possono sembrare allo stesso tempo seducenti ma orecchiabili, se mi si concede la sinestesia.
È questo è anche il punto su cui gioca la piccola mostra, a cura di Alessandra Mauro, “Demonumento” di Marco Maria Zanin, allestita presso l’Ambasciata del Brasile a Piazza Navona.
E chi meglio di un fotografo che da anni si divide tra Padova e São Paulo in Brasile potrebbe produrre un lavoro sulla migrazione italiana in Brasile, di cui quest’anno cade il 150enario?
La mostra ha due anime diverse ma complementari.
Un’anima più prettamente fotografica mostra alcuni scorci lividi e desaturati – realizzati nel consueto stile di Zanin – di una São Paulo vista dall’alto, quasi il bianco fantasma di una megalopoli maestosa e minacciosa a un tempo, con quei suoi grattaceli disordinati, spesso caratterizzati dai caratteristici pixação, dentro e dietro cui si indovina un instancabile brulichio di vita. È una delle città brasiliane che ha accolto più italiani, come dimostrano le tracce che l’artista è andato trovando in loco, a partire dalle sale degli ospedali italiani abbandonati (anche se bisogna dire che ormai abbiamo visto così tante immagini di ospedali, manicomi e asili di vario tipo abbandonati che quasi non fanno più nessun effetto!).
Vecchie fotografie e oggetti di immigrati italiani, rinvenuti dall’artista nei mercati delle pulci di São Paulo, costituiscono invece i materiali di alcune installazioni – ed è questa la seconda anima della mostra, dove la fotografia diventa oggetto manipolato – con cui si vogliono innescare riflessioni sulla memoria e sulla sua negazione e decostruzione (da cui il titolo, Demonumento, sulla scia di alcune considerazioni dello storico Jacques Le Goff) a cavallo tra recupero e documentazione di un tessuto microstorico perduto.
I soggetti delle fotografie vengono occultati, nascosti, velati, come a riproporre metaforicamente il naturale meccanismo dei ricordi. Alcune soluzioni installative sono suggestive ma non troppo originali, come il tavolo pieno di oggetti, o le piccole fotografie antiche avvolte nella carta velina; altre, come il retro di una foto ingrandito a mostrare i segni del tempo, o l’album antico sfogliato in un video, per terra le fotografie scollate e cadute, sembrano più fresche. Fino ad arrivare alla corrispondenza di missive, mai arrivate a destinazione per un errore di indirizzo, tra un prigioniero e suo cugino immigrato in Brasile, rinvenute per caso dall’artista, e di cui viene esposta una lettera ingrandita.
Mario Finazzi
Dal 12 giugno al 10 luglio 2015
Marco Maria Zanin, Demonumento
Ambasciata del Brasile, Palazzo Pamphilj,
Piazza Navona 10, Roma
Orari: dal lunedì al venerdì dalle 11 alle 17