Ventiquattro tele esposte in modo regolare, con la narrazione che procede da sinistra verso destra, come si trattasse di un affresco. Inizia così la mostra di
Gordon Cheung (Londra, 1975). Ed è subito immersione in un universo variopinto, realizzato alternando colori acidi e calde tonalità, bomboletta spray e gel acrilico. L’artista si appropria delle illustrazioni originali del
Paradiso perduto di John Milton e le reinterpreta con uno sguardo alla società contemporanea. Al di sotto della figurazione, corrono i titoli azionari pubblicati sulle pagine del “Financial Times”, elemento inquietante e attualissimo che Cheung porta a esempio della mutevolezza e imprevedibilità cui tutti siamo soggetti. Il sistema economico appare quasi come un’entità superiore, alla quale è conferito il potere di privarci del nostro “paradiso”, da un momento all’altro. Basta una mossa sbagliata, un’azione in crollo.
Difficile non leggere un intento moraleggiante (specie in periodo di mutui impazziti e bolle finanziarie), nonostante l’attenzione sia tutta rivolta all’elemento formale e narrativo. L’interpretazione del testo sacro -già stravolto nell’opera miltoniana- è associata a una pittura “da strada”, che dà vita a scenari apocalittici alternati a paesaggi estremamente sereni. Nell’esplosione di colori è possibile cogliere forme ben delineate -una sfera, uno specchio d’acqua- che fungono da appigli sicuri nel manifestarsi impetuoso delle forze naturali. La caduta di Lucifero e la cacciata dall’Eden non sono però gli unici riferimenti religiosi: nella seconda sala, piccoli quadrati colorati tratteggiano le linee del volto di Cristo, riconoscibile solo da lontano. Lo stesso vale per le mani taumaturghe che compaiono in un altro dipinto, delineate dalle immancabili colonnine finanziarie ma attraversate da ombre suggestive.
Dalla divinità personificata a quella panteistica, l’ultima sala vede la dominazione degli elementi naturali, con il Sole a fare da protagonista. Sul fondale nero pece si aprono nitidi squarci. L’elemento coloristico, sapientemente giostrato, dona alle opere un dinamismo interno, fatto di pulsazioni e contrazioni. La narrazione sembra tornare ancor più indietro nel tempo e la vita sembra prendere forma grazie agli agenti atmosferici, non per mano di un dio creatore. Le due facce dell’intervento divino s’incontrano e si scontrano, assumendo sfumature differenti. Su tutto aleggia il senso d’impotenza in cui è relegata la presenza umana. Piccola, in ombra, spesso inesistente. Destinata a ridurre in numeri l’occasione offertale dal libero arbitrio.