Carsten Nicolai (Karl-Marx-Stadt, 1965; vive a Berlino e Chemnitz) ha da sempre oltrepassato la linea di confine, ponendosi tra le diverse espressioni, nazionale e internazionale, scegliendo un’arte complessa, a metà strada fra la dimensione visiva e quella auditiva, una nuova zona franca per un’arte contemporanea sempre più convinta del proprio potenziale sinestetico.
334m/s è un’opera
in situ, realizzata in tutta la lunghezza della galleria: due tubi in plexiglas percorrono l’asse verticale e corrono in profondità, parallelamente, nei due corridoi di cui consta l’unica e spaziosa stanza espositiva della Fondazione Volume!. Un’installazione doppia, che orienta lo spettatore a porsi frontalmente ai due bracci protesi, solo per potervi cogliere la contemporaneità del suono che nasce da essi. Nell’arco di un tempo pari a circa tre minuti, il gas che circola nei tubi viene bruciato da una fiamma, produttrice del fascio di luce in movimento e del suono profondo che vi scaturisce. È l’incontro fra la materia del canale e la combustione in atto.
L’interesse è scientifico nella manipolazione del suono, nell’analisi fisica degli elementi e degli scarti di tempo per far sì che il processo si avvii regolarmente, confermando la tendenza sperimentale dell’artista, da sempre coinvolto nella scena musicale elettronica con lo pseudonimo di
Alva Noto. D’altra parte, l’intera opera sembra voler strizzare l’occhio alla produzione teorica più feconda sul fronte comunicazionale, sia nella semplice linearità dell’audio-installazione che nell’individuazione palese dei suoi componenti: l’enunciatore-artista, il messaggio-suono, il canale-tubo e infine l’enunciatario-spettatore.
In questo senso, sebbene non inviti direttamente alla partecipazione fisica -perché la si attraversi o altro- l’opera di Nicolai coopera parimenti con chi vi guarda, facendone un quarto elemento necessario al processo. Affinché il flusso comunicativo sia efficace, l’audio, il suono provocato, e il visivo, il guizzo di luce generato, sono solo parzialmente sincronici, quasi a voler rendere ambigua un’esperienza, come quella comunicativa, di cui fruiamo quotidianamente.
Il ricorso alla “doppiezza” dell’opera -due i tubi, due i processi- nella risultante di un unico suono confermerebbero allora la natura di “bersaglio inevitabile” dell’individuo esposto, nel polo destinatario, a una comunicazione ridondante che, nel suo eccesso, non lascia altre alternative di comprensione. Nicolai gioca sul significato di “estetica” come percezione mediata dai sensi, tra i quali predilige l’udito. Tuttavia, il suo è un suono in movimento spaziale e temporale, che ha una sua materia, come il gas che, all’interno del tubo, per reazione chimica, si rende visibile.
Nella dimensione causa-effetto, ciò che si realizza è difficile dirsi essere nell’occhio o nell’orecchio. Nella combinazione di questi, l’arte di Nicolai può dirsi dunque sinestetica.